Farmer Paul, antropologo-medico, prende in prestito dal sociologo Galtung il termine “violenza strutturale”, in quanto egli è molto interessato ad individuare, attraverso la matrice sociale, le varie modalità in cui gli individui si inseriscono e confezionano il proprio destino, ciò quindi che struttura sofferenza e dolore alle persone sono fattori economici, culturali e sociali. Per definire realmente che cos’ è la violenza strutturale Farmer fa riferimento ad una storia realmente accaduta ad Haiti, ancora oggi uno dei paesi più poveri al mondo.
Durante gli anni 80 Acépie, una ragazza di 19 anni, viveva insieme alla famiglia in estrema povertà nel “popolo delle acque” come profuga. Un giorno, mentre la giovane accompagnava la madre al mercato, cominciò ad essere presa in giro in modo malizioso dai alcuni militari, facendo così la conoscenza dell’ufficiale Honorat, con cui cominciò una relazione nonostante egli fosse sposato. Improvvisamente l’ufficiale si ammalò e di lì a poco morì. La ragazza quindi fu costretta a trasferirsi a Port au Prince, dove lavorò come cameriera presso una ricca donna e cominciò a frequentare il giovane Blanco di cui rimase incinta. La padrona, trattandola con disprezzo, la cacciò via e anche Blanco la lasciò. Ritornata al villaggio poco dopo partorì, ma scopri di avere l’AIDS, morendone poco dopo.
Con questa triste storia l’autore vuole quindi raccontarci che cos’è la violenza strutturale, una violenza che non ha bisogno di autore per essere esercitata, poiché in realtà è prodotta dall’organizzazione sociale stessa e dalle sue profonde diseguaglianze, che si traducono in patologie, miserie, mortalità infantile e abusi sessuali. Oggi la “violenza strutturale” ancora caratterizza alcune società, soprattutto dove sono presenti gli ambienti più poveri che non garantiscono la “buona” salute delle persone e neanche una vita dignitosa.
Chiara Picotti