La situazione nello Yemen

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Il conflitto nella penisola araba ha le sue radici nel 2011 ed è ancora oggi in corso. Tocca interessi economici e geostrategici.

La guerra yemenita ha radici nella primavera araba del 2011, quando i manifestanti scesero in piazza, rivendicando democrazia e riforme contro il presidente Ali Abdullah Saleh e chiedendo le dimissioni del suo governo. Saleh concesse parziali riforme, ma rifiutò di dimettersi, trasferendo i poteri al vicepresidente Abd Rabbu Mansour Hadi; i tentativi di riforme costituzionali proposti da quest’ultimo furono ostacolati dai ribelli Houti, appartenenti ad un ramo dell’Islam sciita noto come Zaydista e sostenuti militarmente dall’Iran.

La guerra tra i ribelli Houti e le forze governative appoggiate dall’Arabia saudita, ha comportato un blocco dell’importazione di qualsiasi rifornimento e medicinale, spingendo circa 7 milioni di yemeniti alla fame, con un’epidemia di colera che negli ultimi mesi del 2017 aveva già provocato 2 000 morti. Ma soprattutto questa guerra uccide i più piccoli con malattie e fame. Nell’indifferenza del mondo.

A dicembre del 2018 gli Houti e il governo yemenita avevano firmato un accordo di pace, sostenuto dalle Nazioni Unite a Stoccolma, che prevedeva il ritiro delle truppe da Hodeidah che è il porto più strategico dello Yemen.

A giugno, gli Emirati Arabi Uniti hanno annunciato un abbattimento delle forze militari degli Emirati intorno a Hodeidah, come parte di una “misura di rafforzamento della fiducia” unilaterale, per dare il via al processo di pace in stallo. Ad agosto i separatisti del Sud, Southern Transitional Council attori del conflitto, sostenuti e addestrati dagli Emirati, hanno occupato alcune basi militari a Aden. La guerra ha rianimato vecchie tensioni tra il nord e il sud dello Yemen, paesi precedentemente separati, che si sono uniti in un unico stato nel 1990. L’obiettivo dei separatisti è infatti quello di fare di Aden la capitale di uno Stato indipendente dallo Yemen. Fino a pochi mesi fa, il Consiglio era alleato dei miliziani fedeli al presidente Abd Rabbo Mansur Hadi, contro il nemico comune: i ribelli sciiti Houti. Con l’occupazione delle basi e il conseguente bombardamento da parte della coalizione guidata dall’Arabia Saudita, si è creata una profonda crepa nell’alleanza sunnita, che sottolinea gli interessi contrapposti di Arabia Saudita ed Emirati nell’area e rende più difficile per la coalizione indebolire la presa degli Houti che detengono Sana’a e la maggior parte dei popolosi centri urbani.

Poco più di una settimana fa, un gruppo di droni ha colpito due stabilimenti della Aramco (aziende di idrocarburi) rispettivamente uno ad Abqaiq e l’altro a Dhahran. L’attacco è stato rivendicato dal portavoce militare degli Houti. Subito dopo l’attacco il segretario di stato americano Pompeo aveva accusato l’Iran minacciando dure conseguenze. Il costo del petrolio ha subito un’impennata, e le tensioni di questi giorni si aggiungono a quelle vissute nel golfo a giugno, dopo gli attacchi alle petroliere. Azioni di cui sia i sauditi che il governo statunitense avevano accusato l’Iran.

La guerra yemenita potrebbe, dunque, subire una nuova escalation militare, a danno della già esausta popolazione civile, diventando ancor di più terreno di scontro al centro dell’accordo sul nucleare Usa-Iran e delle agende iraniane e saudite sul golfo.

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