I fatti risalgono al 7 luglio 2016, giorno in cui una ragazza è stata aggredita da cinque uomini. Per il tribunale di Navarra non è stata un’aggressione sessuale, ma un abuso sessuale continuato, cioè un reato meno grave. Manifestazioni di dissenso in tutto il Paese. Imputati condannati a 9 anni di carcere. È questa la decisione presa dai giudici di Navarra nei confronti di cinque uomini accusati di aver violentato una 18enne durante la tradizionale festa di San Firmino a Pamplona nel 2016. Ma il fatto che, secondo i giudici, gli aggressori non avrebbero commesso uno stupro, ha scatenato le proteste in tutta la Spagna. La decisione dei giudici deriva dal fatto che secondo la legge spagnola l’abuso sessuale è diverso dallo stupro, perché non coinvolge violenza o intimidazione. Ma le proteste non si sono scatenate solo per il fatto che l’aggressione sia stata ritenuta solo “un abuso”. Le critiche si basano anche sul fatto che i giudici abbiano accettato come prova un rapporto di un investigatore privato assunto dalla difesa, nel quale si sottolineava come la ragazza non avesse subito nessun trauma dal momento che, fotografie alla mano, la si vedeva in alcune immagini sorridere con gli amici. Uno dei giudici ha anche sostenuto che gli imputati dovessero essere prosciolti da tutte le accuse e condannati solo per il furto del telefonino. Quello che i giudici non hanno confermato, sebbene i fatti siano documentati da alcuni filmati, è l’accusa di stupro. La pena inflitta è di gran lunga inferiore rispetto a quanto avrebbe voluto la procura, che aveva chiesto 22 anni e 10 mesi di reclusione contro ognuno dei membri del branco e 100mila euro di risarcimento in totale.
“Difenderemo con tutti i mezzi a nostra disposizione (questo è uno) il diritto di tutte le donne a fare liberamente il contrario senza essere giudicate, violentate, intimidite, assassinate o umiliate per questo”. Ha affermato una suora di clausura di un convento spagnolo.
La sentenza ha scosso la Spagna: migliaia di persone si sono riversate in piazza. Sui social sono cresciuti i post con l’hashtag #YoTeCreo. L’indignazione per il verdetto segue l’ondata di movimenti di protesta femministi avviati nel mondo con la campagna #MeToo contro molestie e aggressioni sessuali.
Diversi i gruppi di femministe che in queste ore stanno facendo sentire la propria voce, commentando duramente: “Dobbiamo farci ammazzare perché una corte di giustizia riconosca la violenza sessuale?”.
La ragazza riferì alle autorità di essere rimasta “paralizzata” dalla paura al momento in cui i giovani, che si erano offerti di accompagnarla a casa quella sera, la spinsero nel portone di casa e abusarono di lei. La versione del branco è invece che la ragazza rimase immobile, non fece resistenza per cui “era consenziente”. Ovvio che la ragazza non fece resistenza tanto era sotto shock. Purtroppo i giudici hanno dato più importanza alla versione dei violentatori, condannandoli a solo nove anni invece dei venti richiesti dall’accusa, perché si sarebbe trattato di abuso sessuale e non di aggressione sessuale. Questo appunto perché i cinque poterono stuprarla tranquillamente senza far ricorso alla violenza per bloccarla. Una sentenza allucinante per i motivi che la caratterizzano, ancor più allucinante se si pensa che uno dei giudici preposti a decidere la condanna avrebbe addirittura votato contro.
La violano in ogni modo, riprendono ogni nefandezza. Quando finiscono la lasciano disperata, seminuda, ferita nel corpo e nell’anima. La giovane viene soccorsa da una coppia. In ospedale la violenza viene confermata. Queste bestie fanno parte di un gruppo che si fa chiamare “ La Manada” (vuol dire il branco, ma rappresenta anche il potere patriarcale e il suo disprezzo delle donne). E’ un gruppo di 21 maschi che si muove da Siviglia con obiettivi precisi: cercare ragazze e abusarne. Un gruppo su WhatsApp che si messaggia su come e in che modo stuprare usando corde, droghe, farmaci per intontire le ragazze. Che posta i video e le foto degli abusi per dileggiare le vittime, mortificarle. Donne usate come trofei. La notizia fa il giro dei media, dei social. Gli amici del branco minimizzano, i “goodfellas” sono già assolti, che mai sarà uno stupro?
Il caso ha avuto un’eco vastissima. La difesa degli imputati ha operato praticando una sistematica delegittimazione della ragazza. Oltre a negare la sussistenza della violenza ha tentato di distruggere la credibilità della vittima, nell’intento di negarne la legittimità morale a chiedere giustizia.
Se sei di fronte a 5 stupratori hai 2 possibilità: sei terrorizzata e li lasci fare, o hai molta paura, ma opponi resistenza. Nel primo caso il giudizio della società e dei media sarà che sei una facile e che te la sei cercata, mentre i giudici diranno che non è violenza, ma solo abuso sessuale. Nove anni di pena ai 5 stupratori e via. Nel secondo caso resisti e hai 2 possibilità. Sei fortunata: ti immobilizzano, ti violentano, però sei viva. Ma è chiaro, non solo ai movimenti femministi più radicali e insofferenti, che questa sentenza così accomodante non è solo un eccesso di garantismo, ma è la risposta politica allo sciopero globale delle donne dell’ultimo 8 marzo. In Spagna oltre 5 milioni hanno bloccato il lavoro produttivo e riproduttivo, chi per un’ora, chi per un giorno, perché fosse chiaro che un mondo senza donne si ferma. Adesso fermare una marea di donne sarà difficile.
Nel caso de “La Manada”, la ragazza ha scelto di vivere. Accettare di essere stuprata per sopravvivere. Così chiuse gli occhi, fece quello che le era stato detto e lasciò che facessero quello che volevano. Perché pensava che almeno in quel modo sarebbe sopravvissuta. Ma per i giudici ciò ha significato assenza di violenza fisica o danno che giustificasse la condanna di questi uomini per stupro. Lo scrivo e fa male. Lo scrivo e voglio piangere. E sono arrabbiata. E sento l’ingiustizia del mondo in cui viviamo.
Non c’è stato stupro perché la ragazza non ha gridato, non ha detto no, non ha fatto capire che non voleva. Siamo nel 2018, ma certe sentenze sembrano uscite dritte dai secoli scorsi. Forse è questa la chiave di tutto. Forse è lì che ci vogliono riportare.
Mentre leggevo la notizia della sentenza e le motivazioni del giudice spagnolo, mi sono resa conto che ciò che mi feriva più di tutto era il silenzio. Della stampa italiana, di tante donne, di tutti noi. Si parla del fatto che chiunque di noi – e lo ripeto, chiunque di noi – domani potrebbe uscire dalla porta, essere violentata da cinque uomini e non avere nemmeno il diritto al terrore che paralizza, pena l’esclusione dal diritto sacrosanto alla difesa. Si parla dei nostri diritti, sempre più spesso calibrati sulla percezione maschile di ciò che noi – NOI – abbiamo subito.
La verità, una delle poche a non tacere mai, nemmeno per estenuazione davanti al numero crescente di casi simili, è che non c’è spazio per lo stupro nella giustizia maschile, non in una società in cui lo stupro è segno di virilità, in cui fa capolino in battute di dubbio gusto senza che nessuno si scandalizzi, le stesse battute dei cinque del Branco, che prima della festa annunciavano agli amici di voler violentare tutto quello che vedevano, e giù risate.
Concludo affermando che : Non c’è giustizia possibile in una società in cui lo stupro continua comunque a dare meno fastidio di una donna che denuncia, e che ha il coraggio di farlo senza neanche un osso rotto e senza aver gridato” NO” davanti al telefonino che la filmava, o aver fatto almeno una smorfia di dolore, quelle che il giudice ha cercato sul viso della ragazza senza trovarle.
Tonia Petruzzi