Dal G8 di Genova 2001 alle possibili azioni di oggi

COMUNICATO STAMPA

Ieri 21 luglio 2021 al Centro Pace si sono ritrovate più di 40 persone, fra quelle in presenza e quelle in streaming, a discutere a 20 anni dalla manifestazione che concluse le proteste che chiedevano una modifica e un cambiamento all’accettazione passiva del fenomeno della globalizzazione.

Si è parlato di quello che aveva significato quel Movimento che aveva fra i suoi slogan: “un mondo diverso è possibile” e della repressione che lo stesso movimento subì nel corso delle varie manifestazioni, culminata con i fatti di Genova del 2001. Il comportamento delle Forze dell’Ordine fu infatti stigmatizzato dalla Corte di Cassazione come “clima di completo accantonamento dei principi-cardine dello Stato di diritto” (10.09.2013, Ansa.it).

Grazie agli interventi registrati dei due relatori, i giornalisti Lorenzo Guadagnucci e Fabio Gavelli, abbiamo ascoltato le ragioni che portarono sin dal 1994 alla nascita di quel Movimento e abbiamo dovuto constatare che sono ancora tutte lì (come hanno dovuto tardivamente ammettere molti, come per esempio Carlo Cottarelli, economista ed ex direttore del Fondo Monetario Internazionale).

L’emergenza climatica, le migrazioni, il controllo del commercio delle armi e le guerre scatenate per la gestione delle materie prime (petrolio ieri ed oggi, acqua domani), la gestione dei beni comuni e non privatizzabili (acqua in primis), la distribuzione equa delle risorse scaturite dalla globalizzazione per evitare spropositati arricchimenti di pochi e inevitabili impoverimenti di tanti, sono ancora i problemi da affrontare e nel frattempo, soprattutto per le questioni climatiche, abbiamo perso 20 anni.

Inoltre si è visto che è necessario porre, anche nei Paesi considerati moderni e democratici come il nostro, dei controlli e delle verifiche più serrate sui Corpi Istituzionali ai quali è affidato il controllo, la sicurezza e la gestione dell’ordine pubblico e della forza. Le condanne passate in giudicato in Italia, e le condanne ricevute dalla Corte Europea dei Diritti Umani, mostrano che il processo di democratizzazione e di rispetto della Costituzione da parte delle Forze dell’Ordine è ancora da completare. In particolare non abbiamo ancora un codice di riconoscimento per gli appartenenti alle Forze dell’Ordine; non è stata introdotta la formazione all’uso di metodologie nonviolente per la gestione dei conflitti; il reato di tortura in Italia, aggravato dal fatto di essere un pubblico ufficiale, è stato introdotto solo nel 2017 con la Legge nr.110, ed è ancora farraginoso (https://www.amnesty.it/introduzione-del-reato-tortura-italia-le-domande—frequenti/) ed osteggiato da molte forze politiche. Inoltre i Corpi di Polizia hanno una riserva sulle assunzioni per chi ha fatto il militare professionista “volontario”, quindi quello che si era ottenuto nel 1981 con la “smilitarizzazione” della Polizia (e solo della Polizia di Stato), dal 2010 viene parzialmente disatteso ad ogni nuovo bando di assunzioni.

Il Centro Pace, nel ringraziare i relatori ed i partecipanti alla serata, si propone come punto di aggregazione e di azione per chi volesse portare avanti uno o più di quei 12 punti che costituivano “la piattaforma” di azione del “Movimento per un mondo più giusto” e sostiene la Campagna di Amnesty International per l’apposizione su caschi e divise della polizia di codici identificativi (https://bit.ly/CodiciéPolizia -ovviamente visionabili solo con l’autorizzazione della magistratura e in casi di violazione dei diritti delle persone-).

Per il Centro Pace di Forlì

Il Presidente

Michele Di Domenico

 

Ciò che chiediamo: i 12 punti della “piattaforma”

Forlì, 14 luglio 2001

La globalizzazione e i fenomeni ad essa connessi non li hanno inventati i vertici dei G8, né la scadenza del 21 luglio a Genova.

Vi sono stati lunghi processi, accelerati notevolmente nell’ultimo decennio, di sviluppo tecnologico e di innovazione nel campo dei trasporti e delle telecomunicazioni, che hanno favorito un’impetuosa crescita dell’economia e degli scambi finanziari.

Se a ciò si somma la caduta del Muro di Berlino e dei regimi comunisti dei Paesi dell’Est Europa, con quello che ciò ha comportato in termini di crisi dell’ideologia marxista e di presunta vittoria del modello capitalista, si può ben capire come in questi ultimi anni l’economia abbia preso il sopravvento sulla politica.

I temi in discussione saranno quelli relativi alla globalizzazione e al pensiero unico dominante, legato ad un’idea di finanziarizzazione dell’economia e di massimo profitto ottenibile, dove l’idea della persona umana entra solo come <strumento> della realizzazione di questi obiettivi.

Eduardo Galeano, scrittore uruguayano, al Forum Sociale svoltosi a Porto Alegre (Brasile) nel gennaio 2001, ha definito la globalizzazione con queste parole: < Mai come oggi il mondo ha creato tanta ineguaglianza nella distribuzione della ricchezza, rendendoci al tempo stesso tutti simili, oggetto di un unico catechismo della violenza e del consumo.>

E’ evidente che noi siamo dentro la globalizzazione.

La globalizzazione produce ricchezza, ma la sua distribuzione avvantaggia sempre di più i ricchi a discapito dei poveri. Circa 1,3 miliardi di persone vive con meno di 2.000 lire al giorno, 11 milioni di bambini muoiono ogni anno per denutrizione. Non ci muove solo un senso di giustizia, è che prima o poi i problemi legati all’immigrazione, alla desertificazione, alla scarsità di acqua e all’innalzamento della temperatura ricadranno su di noi con tutta la loro pesantezza.

Senza voler demonizzare il fenomeno della globalizzazione, proponiamo che si incominci a ridefinire le regole legate all’economia, riportando le scelte al primato della politica, a partire dai livelli istituzionali più alti.

In particolar modo chiediamo:

a) che i piani di ristrutturazione del FMI e della Banca Mondiale non siano discussi più solo con il Governo del Paese che chiede un prestito, ma con le realtà dei suoi gruppi intermedi (sindacati, associazioni, Organizzazioni Non-Governative, ecc.);

b) la democratizzazione delle Istituzioni Internazionali, a partire dall’ONU;

c) l’istituzione di forme di tassazione delle transazioni finanziarie internazionali di carattere speculativo. Si propone che i proventi siano destinati a progetti di sviluppo e crescita portati avanti anche dalle realtà locali dei Paesi coinvolti e dalle ONG;

d) la cancellazione del debito dei Paesi poveri in cambio del rispetto dei diritti umani e della riduzione significativa delle spese militari;

e) la lotta alla privatizzazione dei servizi sociali e dei beni essenziali (acqua, luce, gas);

f) che ci si batta per la sottoscrizione di codici di condotta tra imprese e organizzazioni sindacali che favoriscano le libertà di organizzazione sindacale e di contrattazione e impediscano lo sfruttamento minorile e il lavoro forzato;

g) il sostegno al Commercio Equo e Solidale e alla Finanza Etica;

h) la sperimentazione delle biotecnologie alimentari e non, limitata e rigorosamente verificata prima di estenderne i risultati in campo agricolo ed alimentare;

i) il sostegno alle economie locali, contrapposto alla volontà delle multinazionali di ottenere l’Accordo Multilaterale sugli Investimenti (M.A.I.);

l) la riduzione delle spese militari e il finanziamento di studi, ricerche e sperimentazione di forme di risoluzione nonviolenta dei conflitti (Corpi Civili di Pace per interventi umanitari non armati in zone di conflitto);

m) l’accettazione del protocollo di Kyoto e l’avvio di rigorose politiche verso la riconversione ecologica dei Paesi Industrializzati.

n) l’abolizione dei brevetti sui medicinali salvavita. La salute non è un bene che può essere sottoposto agli interessi del profitto (vedi il caso del Sudafrica e dei medicinali per la cura dei contagiati da Aids). Brevetti e scoperte scientifiche devono essere a disposizione dell’umanità intera.

I valori della democrazia, della libertà, della pace e il rispetto della dignità e della vita della controparte ci motivano ad una protesta e, soprattutto, ad una proposta rigorosamente nonviolenta.

Rifuggiamo da chi usa la violenza, anche solo con il pretesto della “difesa personale”, nella partecipazione a queste iniziative.

 

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