Il danno ambientale provocato dalla fuoriuscita di carburante dal cargo giapponese è destinato a durare a lungo nonostante gli sforzi dei volontari.
Sono passati ormai quasi 20 giorni da quando la nave cargo giapponese si è incagliata nei pressi dell’isola di Mauritius; dopo pochi giorni che si era arenata ha iniziato a riversare in mare tonnellate di carburante, a seguito di un grande distacco della sezione anteriore dell’imbarcazione. A distanza di pochi giorni dal disastro le condizioni del mare sono già pessime: basta pensare alle foreste di mangrovie, che hanno perso la loro simbiosi con l’ambiente marino circostante e, di fatto, galleggiano nella melma nera. In questa isola paradisiaca, al posto del mare cristallino e di spiagge incantate, si notano acque scure ed oleose dove pesci e uccelli vivono e lottano per la sopravvivenza.
Il disastro ambientale, come dicono gli esperti, non è uno dei peggiori in quanto alla quantità di carburante immesso; basta pensare a quando nel 2010 furono 400 mila le tonnellate di carburante fuoriuscito nel Golfo del Messico dalla piattaforma petrolifera Deep Water Horizon. Allora morirono migliaia di specie vegetali e animali, tra cui centinaia di delfini. Questa volta le tonnellate sono 1000, ma il disastro è avvenuto in un luogo molto importante, vicino a due ecosistemi marini protetti dal punto di vista ambientale e vicino alla riserva del Blue Bay Marine Park, zona umida di importanza internazionale.
Mauritius è un prezioso scrigno di biodiversità, con un’alta concentrazione di piante e animali unici nella regione. “Il vento e le correnti d’acqua non stanno aiutando. Stanno portando il carburante verso le aree con ecosistemi marini vitali”, ha detto alla Bbc Sunil Mokshananda, ricercatore di Greenpeace. Sono 1700 le specie ospitate a Mauritius, tra cui circa 800 tipi diversi di pesci, 17 di mammiferi marini e due specie di tartarughe. “Sono rimaste pochissime aree marine di questo tipo con una biodiversità così ricca sul pianeta. Una fuoriuscita di petrolio come questa avrà un impatto devastante”, ha detto Corina Ciocan, docente senior di biologia marina presso l’Università di Brighton in Regno Unito.
Lo sforzo che stanno facendo gli abitanti del luogo è davvero notevole: in migliaia si sono riversati sulla costa per ingegnarsi e trovare una soluzione alla “marea nera” disobbedendo di fatto agli ordini delle autorità locali. Queste persone hanno ben pensato di intrecciare con ago e filo capelli, peli di animali, paglia, corde, tessuto, foglie di canna da zucchero e bottiglie di plastica vuote in modo da poter costruire delle pseudo barriere da mettere al largo della costa dell’isola ed evitare, per quanto possibile, questa “marea nera”, raccogliendo quanto più petrolio riescono.
È stato comunicato da medici e scienziati di non avvicinarsi alle coste per evitare di avere problemi fisici in futuro. Infatti, fa sapere il medico che parla in video sulla pagina social, problemi della pelle, di respirazione o altri ancora, possono apparire tra 5, 10 o 15 anni.
Il governo delle Mauritius – accusato da più parti di aver fatto troppo poco nella settimana successiva all’incidente – ha spiegato che, sebbene la maggior parte del contenuto della petroliera sia stato aspirato, 90 tonnellate di carburante restano ancora nella nave. Per il Paese, che dipendente pesantemente dal turismo, si tratta di un disastro non solo ambientale, ma anche economico.
Chiara Cifani