Sono stati giorni di sangue quelli di Pasqua in Palestina; ammonterebbero infatti a sedici i morti e a 1490 i feriti palestinesi nei violentissimi scontri con l’esercito israeliano lungo la barriera tra il sud della Striscia di Gaza e lo Stato ebraico. In termini di vittime, tutte palestinesi, questi scontri sono stati i peggiori dal 2014, data dell’ultima guerra fra Israele e Hamas, che da allora osservano un teso cessate il fuoco.
Più di 17 000 palestinesi hanno preso parte alla manifestazione lungo la frontiera che separa la striscia di Gaza da Israele, per commemorare l’anniversario della Nakba, la “catastrofe”, l’esproprio delle terre arabe per la creazione dello Stato di Israele nel 1948, in cui furono costretti a lasciare le loro case e villaggi. Questa mobilitazione, che prende non a caso il nome di “Grande marcia del ritorno”, è stata indetta da Hamas e nella sua intenzione dovrebbe prolungarsi fino al 15 Maggio, data ufficiale appunto della Nakba. Tuttavia migliaia tra i manifestanti hanno partecipato a Gaza ai funerali delle vittime e quindi solo qualche centinaio è rimasto o è tornato nei diversi punti della frontiera per proseguire la marcia.
Secondo ciò che afferma l’esercito israeliano, i palestinesi avrebbero organizzato la sommossa da sei postazioni diverse della striscia, bruciando gomme, lanciando pietre alla barriera di sicurezza e bombe Molotov sulle truppe israeliane costrette quindi a sparare contro i manifestanti. L’esercito ha inoltre precisato di aver individuato “i principali istigatori” delle proteste violente, ribadendo che non sarà permesso a nessuno di violare la sovranità del territorio di Israele e di superare la barriera di sicurezza presso la quale, non a caso, ha schierato un centinaio di tiratori scelti. Il generale israeliano Eyal Zamir ha di nuovo giustificato l’intervento dei soldati israeliani, come conseguenza dell’identificazione di alcuni terroristi che hanno cercato di condurre attacchi camuffandosi da manifestanti e si è appellato alla popolazione affinché, per la sua sicurezza, non risponda agli appelli di Hamas. Infine il premier di Israele, Benjamin Netanyahu, ha elogiato i soldati israeliani per avere protetto i confini del Paese: “ottimo lavoro… Israele agisce con vigore e determinazione per proteggere la sua sovranità e la sicurezza dei suoi cittadini” ha dichiarato.
L’Autorità nazionale palestinese (Anp) ha richiesto l’intervento della comunità internazionale dopo gli scontri: Yusef Al Mahmoud, portavoce dell’Anp a Ramallah ha chiesto, in particolare, un “intervento immediato e urgente per fermare lo spargimento di sangue del popolo palestinese da parte delle forze di occupazione israeliane”.
Unanimi il Segretario generale dell’Onu Antonio Guterres e l’Alto rappresentante per la politica estera Federica Mogherini, sulla necessità di avviare un’indagine indipendente e trasparente riguardo l’azione dell’esercito israeliano; il Consiglio di sicurezza si è, infatti, riunito sabato con la proposta di condannare la reazione delle truppe israeliane, tuttavia il progetto è stato bloccato dall’intervento degli Stati Uniti, secondo quanto rivelato da fonti diplomatiche in loco.
Durissimo anche il botta e risposta fra Netanyahu e il presidente turco Erdogan, che ha accusato Israele di aver compiuto “un attacco disumano a Gaza” e ha definito il premier israeliano un terrorista. Quest’ultimo, che non ha perso tempo a replicare, ha risposto che “l’esercito più morale del mondo” non è disposto ad accettare lezioni da chi per anni ha bombardato indiscriminatamente le popolazioni civili.
Sulla domanda di una commissione d’inchiesta sostenuta da Onu e Ue, il ministro della Difesa israeliano, Avigdor Lieberman, parlando alla radio militare, ha espresso il suo più totale dissenso, definendola una richiesta ipocrita e insensata e mostrando ancora la più totale mancanza di volontà da parte di Israele di rispondere dell’accaduto.
Leyla el Matouni