Nel rapporto ‘Time to care’ sulle diseguaglianze emerge che nel mondo la ricchezza cresce, ma con essa anche le disuguaglianze. La ricchezza è sempre più in mano a poche persone, 2153 ricchi detengono una ricchezza superiore a 4,6 miliardi di persone (60% della popolazione mondiale). Altro dato impressionante: l’1% della popolazione mondiale detiene più del doppio della ricchezza di tutti gli abitanti del pianeta; il report afferma inoltre che 3,8 miliardi di persone hanno una quota di ricchezza pari a meno dell’1% e che il patrimonio delle 22 persone più facoltose è superiore alla ricchezza di tutte le donne africane.
Riflettendo su questi dati anche i migranti che riceviamo in Italia sono partiti per fuggire da queste diseguaglianze; perché non spostare l’ossessione dei migranti all’ossessione per un mondo più equo? In Italia il 10% ricco possiede oltre sei volte la ricchezza del 50% povero, quota cresciuta del 7,6%. Nel 2019 l’1% ricco superava il 70% povero patrimonialmente. Nel mondo il 46% delle persone vive con meno di 5,50 dollari al giorno e ci sono forti disparità nella distribuzione dei redditi. Elemento consequenziale a queste forti disparità sono una diminuzione della coesione sociale, un senso di insicurezza e rancore.
Si ha un confronto tra due estremi, da una parte poche persone che vedono i loro interessi consolidarsi, dall’altra milioni di persone che non vedono adeguatamente ricompensati i propri sforzi. Il rapporto ‘Ricompensare il lavoro, non la ricchezza’ presta attenzione al lavoro domestico sottopagato, che grava soprattutto sulle spalle delle donne. Le donne a livello globale svolgono 12.5 miliardi di ore di lavoro non retribuito; il 42% delle donne nel mondo non può lavorare perché deve prendersi cura di familiari, anziani, bambini, al contrario degli uomini che occupano solo il 6% di tale dato. In Italia 11,1% delle donne non ha un impiego poiché deve prendersi cura dei figli, dato molto alto rispetto alla media del 3,7% in Europa. Le donne sono spesso sottopagate, prive di sussidi, con ore di lavoro irregolari e carichi psicofisici debilitanti.
La domanda a cui dare risposta è: come sarà possibile creare un modello economico che consideri il lavoro di cura? Entro il 2030 avranno bisogno di assistenza 2,3 miliardi di persone. Un ulteriore dato sconfortante è che in Italia la ricchezza rimane un fattore socioeconomico: un terzo dei figli di genitori poveri è destinato a rimanere nello strato più basso della scala sociale, mentre il 58 % di figli di genitori ricchi mantiene la posizione apicale. I giovani italiani devono inoltre fare i conti con un mercato profondamente disuguale, caratterizzato dopo il 2008 dall’aumento della precarietà lavorativa: in Italia oltre il 30% degli occupati guadagna meno di 800 euro al mese e il 13% versa in condizioni di povertà lavorativa. Tale condizione di precariato costringe i giovani italiani a cercare lavoro all’estero, poiché qui mancano posizioni lavorative ben retribuite e possibilità di progressione di carriera. Servono degli interventi efficaci per fare in modo che i giovani, che reclamano un cambiamento forte verso una società più equa, più responsabile e che accolga le loro richieste, diventino risorse del nostro Paese.
I primi e cruciali interventi che devono essere effettuati verso questa direzione riguardano investimenti nel sistema nazionale di assistenza, per far fronte alle disparità nei confronti di ragazze e donne, in un rafforzamento della progressività fiscale estesa, con una maggiore tassazione per i più ricchi; infine delle norme legislative a favore di chi presta lavoro di cura. Il rapporto Oxfam cita Gregorio Nazianzeno, padre della Chiesa morto nel 390 d.C., che dice: ‘Dio afferma l’uguaglianza nella natura mediante la giusta distribuzione dei suoi doni, così egli mostra la ricchezza della sua bontà; gli uomini, invece, allorché ammassano oro, argento… sono presi da folle arroganza, sbarrano il cuore alle sofferenze dei fratelli e non acconsentono neppure a concedere ad essi un po’ del superfluo perché abbiano di che vivere‘. Parole che commentano bene il report Oxfam.
Alessio Manto