Risale a qualche giorno fa l’evento che giornalisti e operatori internazionali, interessati alle tematiche nigeriane hanno, con grande fervore, riportato come “storico”. Nello stato di Edo, in Nigeria meridionale, l’Oba Ewuare II ha vietato ai sacerdoti della sua religione di praticare riti juju che legano le donne alle organizzazioni criminali che le portano in Europa, revocando allo stesso tempo tutti i giuramenti passati.
Ma cosa sono i riti juju e quali implicazioni ha questa decisione accolta con così grande entusiasmo dalla comunità internazionale?
Per riuscire a capire la portata dell’evento è necessario in primo luogo fare un accenno alle caratteristiche socio-culturali del Paese. La Nigeria rappresenta uno dei più grandi e intensamente popolati paesi dell’Africa con una popolazione che, comunemente al resto del continente, è estremamente composita: si calcolano circa 250 gruppi etnici, tra i quali figura il popolo degli Edo. Eredi del regno pre-coloniale del Benin governato dalla figura dell’Oba, che significa appunto “re”, gli Edo sono rimasti nel tempo fedeli a questa autorità tradizionale, che a oggi ha assunto tratti religiosi. Se a questo fatto storico si aggiunge il ruolo che ricoprono i sacerdoti nella vita quotidiana della popolazione nigeriana, ruolo che esula dagli schemi politici della moderna Repubblica Federale, appare chiaro il valore della presa di posizione della settimana scorsa, almeno per questa minoranza di cittadini. Sicuramente per le migliaia di donne intrappolate in una vita da schiave del sesso in Europa.
I riti juju nascondono infatti, in quella che ingenuamente potrebbe essere considerata una misticità quasi romantica, un profondo legame con la tratta di esseri umani nigeriani.
Se in altre parti del mondo i trafficanti impiegano la forza o altre forme di coercizione fisica su un individuo in posizione di vulnerabilità a scopo di sfruttamento (tale è la definizione di “tratta” data dalle Nazioni Unite), i trafficanti in Nigeria utilizzano la coercizione psicologica, proprio grazie ai riti tradizionali del juju. Rito delle cui origini si sa ben poco, ma che dai locali è considerato tanto potente da essere in grado di curare i malanni così come di infliggere disgrazie quali pazzia, malattie o morte.
Sebbene il 90% dei nigeriani siano musulmani o cristiani, comunque rimangono condizionati da una cultura caratterizzata da elementi sincretici, quali ad esempio la convinzione che una maledizione non possa essere spezzata senza incorrere nella punizione del sacerdote. Questo è quello che credono le ragazze nigeriane dopo che il prete juju ha ricoperto la loro pelle di tagli e cenere, dopo che ha conservato i loro capelli, peli pubici, unghie e indumenti intimi, dopo che ha fatto mangiare loro il cuore di un gallo, come stipula dell’accordo che le obbliga a non tradire mai il trafficante.
La tratta di esseri umani è un fenomeno tragicamente diffuso. Alle vittime (perché di vittime si parla) viene promesso un passaggio in Europa che sono poi costrette a ripagare, nella maggior parte dei casi, con lo sfruttamento sessuale, non più libere di trovare quel lavoro dignitoso alla ricerca del quale hanno deciso di lasciare la casa e i propri cari.
È per queste migliaia di ragazze, dai sogni e dalle aspettative infrante, che l’editto dell’Oba rappresenta un fatto di portata storica. Non più minacciate dallo spettro della pazzia e della morte potrebbero avere meno paura di denunciare chi le costringe in schiavitù, di spezzare quell’accordo stretto di fronte a forze sovrannaturali.
Non è la soluzione al problema della tratta, che piuttosto dovrebbe coinvolgere coloro che beneficiano dei servizi sessuali o lavorativi della vittime per sradicarne alla base la domanda e, di conseguenza, secondo ogni buona logica economica, l’offerta. Ma è qualcosa. Non è diretto a tutti i preti juju africani, né a tutti quelli nigeriani, bensì solo ai preti juju del popolo Edo. Ma è qualcosa.
E come dice un proverbio nigeriano: “È da un piccolo seme che il gigantesco albero di iroko ha origine”.
Rachele Bocelli