L’università vs Viktor Orban: il mondo della cultura non ci sta

L’estate del 2020 è stata una stagione piuttosto movimentata nel panorama della libertà di pensiero e di espressione in Ungheria, e vede come sua protagonista la celebre Accademia del teatro e del cinema di Budapest: la Szfe. 

La Szfe (Színház- és Filmművészeti Egyetem) è una delle istituzioni d’arte più antiche del paese. Fondata nel 1865, allora non era ancora un’università, bensì una scuola di teatro. Nel corso dei decenni è andata incontro a diversi cambiamenti e riforme fino ad assumere la sua forma attuale dopo la caduta del Comunismo. All’interno dell’istituto è possibile apprendere moltissime professioni legate al mondo dell’arte teatrale e cinematografica, tra cui quelle di attore di prosa e di musical, maestro di burattini, ma anche regista di film e teatro, drammaturgo, coreografo, editore e produttore televisivo. Questa Accademia è infatti una delle poche istituzioni al mondo ad offrire una così vasta gamma di programmi di formazione cinematografica e televisiva, in aggiunta ai corsi di arte teatrale. 

L’istituzione è diventata un’università nel 2000 ed è attualmente suddivisa in alcuni indirizzi fondamentali, tra cui l’istituto di arti teatrali e l’istituto di media e film (che istruisce al mondo del cinema ma anche della televisione). Questa istituzione è sempre stata indipendente, fin dalla sua fondazione, con grande autonomia e libertà di critica, sede di pensiero dissidente e di opposizione. 

Nel giugno 2020 le cose cominciano a cambiare: una ristrutturazione interna dell’edificio e il passaggio dell’istituzione dal settore pubblico al settore privato, sono gli apparentemente innocui antecedenti degli eventi che sono culminati con l’occupazione dell’edificio da parte dei suoi stessi studenti e in una protesta dagli echi internazionali.

Cosa ha condotto ad un inizio di semestre così insolito? 

Contestualmente al nuovo manifesto della politica culturale della FIDESz, risalente al dicembre 2019, che si poneva come obiettivo l’universo del teatro ungherese, il governo ha mosso i primi passi nella privatizzazione di diverse università: le università in questione smettono di essere nelle mani dello stato e vengono rilevate da una fondazione guidata da un consiglio d’amministrazione nominato dal governo. All’inizio dello scorso anno il governo ha annunciato che l’Accademia del teatro  e del cinema (Szfe) di Budapest sarebbe stata la prossima istituzione ad assumere questo nuovo modello di gestione. Ufficialmente questa riforma era volta ad aumentare gli introiti dell’Accademia, nonostante sia stata percepita fin da subito come una limitazione della libertà dell’istituzione. 

Con questa mossa Viktor Orban ha scelto di colpire in modo irreversibile il mondo del teatro, un ambiente che, come scrive Repubblica “da sempre in Ungheria è una punta di lancia del pensiero critico e della cultura indipendente e dissidente.” Il passaggio dal settore pubblico al privato ha infatti aperto una finestra di opportunità per il premier che, con una nuova legge ha passato la direzione dell’Accademia, precedentemente istituzione statale ma con autonomia garantita da sempre, ad una fondazione di oligarchi a lui fedeli. 

In seguito alla decisione di Orban, la direzione dell’università ha richiesto del tempo per adeguarsi, ma la richiesta non è stata presa in considerazione: secondo la nuova legislazione, il cambiamento sarebbe dovuto avvenire per il primo di settembre. Alla ricerca di un compromesso, la direzione ha proposto un certo numero di figure apolitiche come futuri membri del consiglio di amministrazione a capo dell’istituzione, che il governo non ha preso minimamente in considerazione, nominando infatti i cinque fiduciari a suo piacimento. Nessuno tra i membri dell’uscente direzione è stato nominato all’interno del nuovo consiglio, che si trova composto principalmente da figure vicine a Fidesz, alcune delle quali non hanno alcun legame con il mondo dell’arte. 

A capo del nuovo consiglio di amministrazione troviamo Attila Vidnyánszky, la cui nomina governativa ha notevolmente infiammato la protesta, che ha ottenuto la  solidarietà di altri enti culturali e di migliaia di ungheresi. Il conservatore Vidnyánszky sostiene tuttavia che il nuovo consiglio di amministrazione si limiterà ad offrire nuove e differenti opzioni in aggiunta all’esistente filosofia dell’Accademia e che l’università si aprirà a degli ideali cristiano-nazionali, che al momento, ad opinione del direttore, mancano. Afferma inoltre che il programma educativo attuale non è abbastanza vario, che dei cambiamenti sono desiderati e necessari, aggiungendo che “la prospettiva cristiana-conservatrice dovrebbe avere più spazio, in modo da rappresentazione più propriamente la diversità della società.” Repubblica ha così commentato la vicenda: “Il premier ha imposto alla guida dell’Accademia – indipendente da 155 anni sotto ogni regime politico e persino sotto il comunismo – un direttore fedele al regime e alla sua politica culturale nazionalista.”

L’occupazione 

Il provvedimento che ha spinto gli studenti della Szfe ad un’azione radicale è giunto però alla fine dell’estate, quando il nuovo documento costitutivo approvato dal consiglio di amministrazione ha privato il Senato accademico, organo composto ed eletto dagli studenti e dagli accademici, di poteri fondamentali e li ha attribuiti al consiglio. Tra questi, è stato privato di ogni autonomia nella gestione dei fondi a disposizione, dunque sia i corsi con un prestigioso passato, sia le iniziative future, sarebbero stati direttamente in mano alla fondazione filogovernativa. Con le direttive del nuovo consiglio i futuri corsi e finanziamenti saranno rimodulati secondo uno “spirito patriottico” (che rimanda ai progetti di consolidamento dello stato del leader Viktor Orban). 

Come diretta conseguenza il 31 agosto il Senato accademico, il giorno prima dell’effettiva entrata in vigore dei provvedimenti, data l’incompatibilità delle sue funzioni con il nuovo ordinamento, ha deciso di dimettersi accusando la riforma di impedirne il corretto operato. 

Lo stesso giorno gli studenti dell’Università delle Arti teatrali e cinematografiche hanno mosso il passo decisivo, reagendo prontamente a questo colpo imperdonabile inflitto alla libertà di espressione: circa 250 studenti hanno occupato i locali dell’edificio barricandosi dentro, e i compagni li hanno sostenuti portando loro materassi e cibo, e molti docenti hanno mostrato solidarietà. Tutto è cominciato come una manifestazione davanti alle sede dell’ateneo in Vas Utca, che si è rivelata il seme dell’occupazione dell’edificio. 

Da quel giorno in poi, passando davanti all’iconico edificio che accoglie i numerosi corsi dell’università, si notavano subito i protestanti mascherati a guardia dell’ingresso, gli striscioni di protesta appesi alle finestre. Solo agli studenti iscritti all’Accademia e agli impiegati della struttura era concesso l’ingresso, previa misurazione della temperatura. 

In occasione di queste dimostrazioni gli studenti hanno dichiarato pubblicamente le loro richieste:  il rifiuto della legge sul nuovo modello di gestione, così come del nuovo consiglio di amministrazione e del modo in cui i suoi membri sono stati nominati; la richiesta di ripristinare i poteri del Senato e di adottare il documento elaborato dal Senato uscente; continuazione del finanziamento da parte dello stato.

Secondo le testimonianze di alcuni studenti coinvolti nelle proteste, l’occupazione non è mai stata una mossa pianificata. Dopo le proteste del 31 agosto e le dimissioni del Senato accademico, la disperazione e l’atmosfera del momento li hanno condotti a questo gesto spontaneo. Nonostante la spontaneità l’occupazione è stata tutto fuorché un esempio di disorganizzazione, i protestanti hanno infatti dimostrato una grande professionalità: conferenze stampa sono state tenute ogni giorno, e per ottenere un’intervista era stato predisposto un ufficio stampa designato.

L’occupazione tuttavia è stata solo il culmine di una serie di eventi che ha avuto inizio nel corso del 2020 e che ha accelerato il suo corso durante l’estate. Quando l’Accademia si è ritrovata nel mirino del governo per via della nuova politica culturale sono nate le prime proteste, che fin da subito hanno avuto un grande seguito. A fine giugno infatti una manifestazione coinvolse 500 persone. Ciononostante, le richieste dei dimostranti sono state rigettate dal ministro per l’Innovazione e la Tecnologia László Palkovics, che ha chiarito che il governo non intendeva procrastinare l’entrata in vigore della riforma, prevista per il primo settembre.

In questo clima, il 6 settembre una nuova manifestazione ha attraversato il centro di Budapest coinvolgendo circa 10.000 persone, che hanno formato una catena umana di diversi chilometri, passando per l’università Corvinus e i quartieri generali dell’Accademia ungherese delle Scienze e collegando la sede dell’Università al Parlamento, facendo così arrivare nel cuore del potere politico la “charta della SzEF” al ritmo del canto Szabad ország, szabad egyetem (Paese libero, università libera). 

Il 23 ottobre la protesta si è estesa e gli studenti dell’Accademia del teatro e del cinema hanno organizzato una nuova marcia per l’autonomia dell’istruzione superiore in Ungheria, in occasione dell’anniversario della rivoluzione del 1956 contro il potere sovietico. I partecipanti hanno marciato dall’Università di Tecnologia e di Economia di Budapest sul versante Buda fino al campus della Szfe. La manifestazione è stata supportata dagli studenti di altre università, da volti dello spettacolo e del cinema e da numerosi enti culturali. Altre proteste hanno suscitato grande coinvolgimento e partecipazione tra cui diverse lezioni aperte con accademici di prestigio ed eventi con musica dal vivo. 

Quello che inizialmente era sembrato un inizio di semestre burrascoso, non si è tradotto in un inizio di semestre effettivo. A seguito dell’occupazione infatti l’inizio delle lezioni ufficiale è stato posticipato. Il nuovo consiglio di amministrazione tuttavia, non ha mai accettato questo ritardo nell’inizio delle attività e fin da subito ha dichiarato di non essere stato informato dall’università esprimendo totale disaccordo.

Nonostante il mancato inizio ufficiale delle lezioni una delle studentesse leader dell’occupazione racconta come gli studenti abbiano continuato a seguire le lezioni per tutta la durata delle proteste, benché la nuova direzione li avesse privati della connessione internet e dell’accesso alle aule. La studentessa in questione, Hanna Milovits, ha fatto queste e altre dichiarazioni il 27 ottobre, data in cui gli echi europei della protesta degli studenti ungheresi si sono concretizzati in un incontro al Parlamento europeo, durante il quale i rappresentanti dell’Accademia hanno messo a nudo il loro conflitto con Viktor Orban sulle libertà accademiche, di fronte alla Commissione per la cultura e l’istruzione. Milovits ha aggiunto che gli studenti avrebbero negoziato se e quando i loro diritti fossero stati ripristinati e fossero stati trattati come pari.

Nel frattempo Attila Vidnyanszky continuava ad affermare la necessità dei cambiamenti apportati; ha inoltre definito politico il carattere della protesta, in quanto secondo lui gli studenti sarebbero stati indottrinati dall’esterno e spinti ad occupare l’università, cosa che gli studenti stessi hanno respinto come non vera. 

Dopo 71 giorni l’occupazione è stata fermata, ma non dal nuovo consiglio di amministrazione, bensì da nuove e severe restrizioni contro la pandemia da covid-19 in crescita. Il 10 novembre gli studenti sono stati costretti a rinunciare alla loro occupazione del campus principale della Szfe e ad abbandonare l’edificio, cuore pulsante della protesta: il governo infatti nel mese di novembre ha introdotto nuove misure, tra cui l’erogazione di tutte le lezioni in modalità online, motivo per cui i dormitori dovevano essere evacuati. Nonostante gli studenti avessero votato per continuare la protesta al di fuori delle mura dell’università, la loro occupazione ha avuto una fine ufficiale.

Lo stesso giorno, lunedì 9 novembre, il consiglio di amministrazione ha ordinato di cessare tutte le attività dell’università fino al 1 di febbraio. Come motivazione sono state date le condizioni inadeguate di insegnamento. Il consiglio, in una lettera indirizzata allo staff e agli studenti dell’Accademia, ha anche espresso il desiderio di proteggere i diritti degli studenti e di assicurare l’autonomia dell’accademia come presupposti per la riapertura. La lettera diceva inoltre che, data l’impossibilità di verificare che il raggiungimento dei crediti dei corsi per i quali gli studenti si sono registrati all’inizio del semestre fosse avvenuto, l’università si trovava nella posizione di non poterli riconoscere. 

Gli studenti si sono opposti a queste decisioni e hanno intentato causa al consiglio. Una sentenza non può essere dunque emessa finché la corte non avrà preso una decisione. Gli studenti si sono anche rivolti all’ufficio dell’istruzione per vedere i loro crediti riconosciuti. 

Presso l’Accademia del teatro e del cinema di Budapest le lezioni dovrebbero riprendere dal primo di febbraio, se tutte le condizioni necessarie saranno state raggiunte.

Tirando le somme

In pochissime settimane la città di Budapest, capitale di un paese con un premier come Viktor Orban, ha visto la nuova generazione, gli studenti, ma anche il mondo dell’arte, del teatro, del cinema e della cultura in generale, alzarsi in piedi, protestare contro una privazione di libertà, quella di espressione, che aveva permesso fino a quel momento alla celebre Accademia Szfe di farsi portavoce di una cultura e di un pensiero liberale, che trova difficilmente posto nella società ungherese. Se un’istituzione come questa non può più tener fede ai suoi ideali non solo nell’insegnamento, ma anche nella produzione artistica, investendo i propri fondi in progetti aderenti al suo pensiero, allora il suo tramonto è vicino e l’UE non può permettere ad un paese europeo di mettere in pericolo la cultura e la libertà di espressione, come il regime sovranista di Orban tenta di fare. 

L’Accademia europea del cinema ha espresso il suo supporto agli studenti e al Senato accademico nella loro decisione di non riconoscere legittimità al nuovo consiglio di amministrazione. A questo proposito ha anche dichiarato “L’arte del cinema può respirare soltanto in un’atmosfera di apertura, trasparenza e democrazia.”

E’ chiaro tuttavia che questa imposizione indiretta del premier ungherese all’interno del mondo teatrale e cinematografico ma anche universitario, fa parte di un progetto più ampio che il governo di Viktor Orban persegue da tempo, per rimodellare tutti quegli ambiti della società a lui potenzialmente avversi, prime fra tutti la stampa e l’informazione, adesso anche il mondo della cultura. 

Marta Nicastro

Fonti

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