La condizione lavorativa e la qualità di vita delle donne oggi

Gli sforzi messi in campo dagli organismi sovranazionali e dagli Stati hanno permesso di avere risultati importanti nel campo dell’istruzione. In primis la riduzione del numero di bambini che non possono andare a scuola, ma rimane il problema della durata dell’istruzione: secondo uno studio dell’università di Cambridge in 15 paesi le ragazze povere possono restare sui banchi di scuola per soli 5 anni. Di conseguenza hanno poche possibilità di passare alla scuola secondaria.

Il dato della differenza di scolarizzazione tra ragazzi ricchi e ragazze povere è molto elevato: si parla di circa dieci anni di differenza di scolarizzazione. Tuttavia le lacune nel campo dell’istruzione non permettono alle giovani ragazze neppure di inserirsi nel mercato del lavoro. Per questo motivo un’intera generazione femminile rischia di rimanere intrappolata in lavori a basso livello di specializzazione, a causa della mancanza di competenze adeguate e della presenza del ‘ gender gap’ nel mercato del lavoro.

Nella fascia di età tra i 15 e i 29 anni le ragazze hanno una probabilità tre volte superiore di essere escluse dal mondo del lavoro rispetto a compagni maschi e di
non essere inserite in percorsi formativi adeguati. Secondo i dati emersi da uno studio dell’Organizzazione mondiale per il lavoro il 31 % delle ragazze tra i 15 e 29
anni rientra nella categoria NEET, ovvero senza lavoro e senza studio, contro il 16 % dei coetanei maschi. Sempre secondo la ricerca almeno il 70 % di queste ragazze
vorrebbe trovare un impiego. Dunque a differenza dei ragazzi le donne hanno maggiore probabilità di passare dai banchi di scuola a uno stato di inoccupate; inoltre il 35 % delle ragazze ha dovuto lasciare il lavoro per motivi familiari, contro il 7% dei coetanei maschi. Le cause risultano essere:

1) la qualità del servizio educativo offerto;  2) la mancanza di cooperazione con le aziende private e la mancanza di un ambiente scolastico sicuro.

Passando alla situazione in Italia, qui le ragazze studiano più degli uomini, hanno mediamente voti migliori, eppure risultano essere penalizzate quando si tratta di
affacciarsi al mondo del lavoro. Il livello di istruzione delle donne risulta essere superiore: il 63,8 % delle donne con più di 25 anni ha un titolo secondario, contro il
59,7% degli uomini; tra le laureate nella fascia tra 30 e 34 anni si ha una media di una ogni tre, mentre tra i ragazzi di un giovane su cinque. Marcella Corsi, docente di Economia alla Sapienza di Roma, afferma che il titolo di studio per le donne risulta essere molto importante: senza un titolo infatti le donne fanno più fatica degli
uomini a trovare lavoro. In Italia il premio dell’istruzione (maggiore probabilità di essere occupati in base al crescere dell’istruzione) è pari al 18,4 % tra licenza media e scuola superiore, e di 10,2 % in possesso di laurea. Nella fascia di età che va dai 25 ai 34 anni, tra le donne senza diploma solo il 30 % ha un lavoro, per gli uomini la percentuale è del 65%. Con l’aumentare del titolo di studio cresce anche la percentuale di occupate: 50% di diplomate e 65 % di laureate.

Esiste poi il cosiddetto fenomeno della ‘segregazione orizzontale’, ovvero la penalizzazione delle donne quando si affacciano al mondo del lavoro. Marcella Corsi afferma: “I giovani e le giovani pensano di essere fondamentalmente uguali e di avere le stesse competenze, ma quando iniziano a confrontarsi con il mondo del lavoro scoprono che la realtà è molto diversa; dopo un anno dalla laurea le giovani ricevono salari più bassi rispetto ai coetanei maschi.” Infine Il rapporto Almalaurea conferma le tradizionali differenze di genere: 16,1% di maggior probabilità di essere occupati e 84 euro in più al mese per gli uomini.

Passando adesso al ruolo delle ragazze faremo un focus sulla qualità della vita delle giovani donne, concentrandoci soprattutto sulle bambine che vivono in realtà
particolari. Ad esempio le giovani pakistane crescono sin da piccole con l’idea del matrimonio, i preparativi per combinare le nozze iniziano tra i 16 e i 18 anni, quando i genitori cominciano a ‘guardarsi intorno’. Si sparge la voce tra parenti e amici e quando si profilano i primi candidati si recano in visita dalla ragazza e se le due famiglie si trovano d’accordo si organizza il matrimonio. Una ragazza pakistana che ha combattuto contro questo tipo di tradizione è Natasha, che si definisce una femminista, fa volontariato con una Ong che organizza momenti di dialogo tra le donne, unisce una grande presenza via social dedicata al femminismo in Pakistan e una dedicata alle donne pakistane in Italia. Natasha afferma: “Molte ragazze soffrono per solitudine e isolamento, vivono solo nella comunità e c’è una barriera che le separa dai coetanei italiani.”

Riflettendo sulla condizione delle ragazze di seconda generazione ci poniamo delle domande e proviamo a dare delle risposte. La prima questione è quali sono le
esigenze della ragazza nel contesto familiare? Le ragazze rappresentano l’anello debole nelle famiglie straniere, secondo il focus dell’Autorità garante per l’Infanzia
sono emerse nuove esigenze relazionali tra ragazze e genitori, la principale delle quali è quella di poter ricevere un uguale trattamento rispetto ai fratelli maschi, e
l’autonomia di poter creare amicizie in ragione della loro età. Infine si lamenta una mancanza di ascolto da parte delle famiglie, in quanto la comunicazione spesso
termina precocemente a causa di un rapporto conflittuale.

La seconda domanda è che ruolo svolgono la scuola e i percorsi di istruzione nei processi di rafforzamento personale. L’ascolto delle persone di minore età è uno dei principi sanciti dalla Convenzione di New York sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza. In questo senso bisogna dire che le giovani crescono spesso in condizioni di isolamento e non hanno dei modelli di riferimento; oppure vivono in una ‘ enclave’ etnica, dove percepiscono gli adulti in base al pensiero dei propri genitori. Per questi motivi risulta spesso importante parlare di sé e dei propri problemi con gli insegnanti; la scuola deve farsi promotrice di integrazione dei bambini di nuova generazione; il MIUR infatti sollecita a sensibilizzare il personale scolastico verso il rispetto della coesione sociale e del dialogo interculturale.

La terza domanda è quali sono le raccomandazioni per evitare i matrimoni combinati. Sarebbe necessario preparare le famiglie, spiegando cosa sia l’integrazione; per quanto riguarda i matrimoni precoci lo Stato ha l’obbligo di mettere in atto misure di prevenzione e contrasto. Un ruolo centrale spetta alla scuola, spesso le richieste di aiuto arrivano grazie a confidenze fatte agli insegnanti, in quel caso bisogna attivarsi con servizi sociali e istituzioni. Dal focus group di Filomena Albano emerge comunque una voglia di integrazione e riscatto delle ragazze straniere, che parlano più lingue ma anche dialetti locali italiani, sono motivate ad abbattere i pregiudizi e la società non può più considerarle come immigrate, ma come cittadini con pari diritti.

Alessio Manto

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