Etiopia, il voto della discordia

Prolungato di un anno il mandato di Ahmed, fino allo svolgimento delle elezioni rinviate per l’epidemia. Una scelta mal digerita dalle opposizioni. L’hanno definita un colpo di mano del premier, che vuole smantellare la Costituzione federale. Crescono i conflitti con gli Oromo e i Tigrini stanno mostrando i muscoli. 

Il parlamento dell’Etiopia ha approvato il 10 giugno la proroga di un anno del mandato di tutte le nomine elettive a livello federale e locale, incluse quelle governative. Prorogato, così, anche il mandato del primo ministro Abiy Ahmed. Una decisione che ha terremotato il panorama politico etiopico. Già l’8 giugno, la relatrice della camera dei rappresentanti (la camera bassa del parlamento etiopico), Keria Ibrahim, aveva rassegnato le dimissioni accusando l’esecutivo di voler restare al potere in maniera “incostituzionale”. Ibrahim è un’esponente di spicco del Fronte di liberazione del popolo del Tigray (Tplf). In Etiopia il coronavirus ha complicato il quadro politico, perché il governo sta assumendo misure sempre più restrittive. A partire dallo “stato di emergenza” per 5 mesi, dichiarato lo scorso 10 aprile. Ma la decisione che ha allarmato i partiti di opposizione è stata quella di posticipare le elezioni politiche, inizialmente fissate per maggio, poi spostate ad agosto, e ora sospese a tempo indefinito. La decisione di sospenderle è stata presa dal parlamento in base alla proposta della Commissione pre-elettorale, che, a causa di Covid-19, ha dovuto annullare tutte le iniziative pianificate per garantire una competizione libera e condotta in modo trasparente. Se inizialmente anche i partiti di opposizione si erano mostrati favorevoli alla linea governativa, ben presto i leader del Tplf, del Fronte di liberazione oromo (Olf), del Congresso federalista oromo (Ofc) e vari altri attivisti tigrini, hanno reagito dichiarando che le elezioni vanno comunque tenute in agosto, con le precauzioni dovute. E non hanno mancato di rilevare – in un incontro organizzato a fine aprile dal premier Abiy Ahmed con i partiti di opposizione – che il governo ha trovato una buona scusa per conservare il potere e inasprire le misure repressive, accusando il primo ministro di atteggiamenti dittatoriali.

La sfida del Tigray. Riguardo allo stato regionale del Tigray, va notato che il 19 febbraio 2020, il Tplf aveva sfruttato le celebrazioni del 45° anniversario dall’inizio della guerra di liberazione contro il governo di Menghistu Hailemariam, ostentando, in una impressionante sfilata bellica, la potenza militare costruita in questi anni, quasi con atteggiamento di sfida nei confronti del governo federale di Addis Abeba. «Siamo qui solo per rispetto verso le istituzioni del paese e per le gravi sfide del momento», dichiarava Addis Alem Balema, ex vicepresidente del Tigray inviato all’incontro di Addis Abeba dai leader tigrini, trincerati a Macallè, capitale del Tigray, timorosi di tornare nella capitale per paura di essere arrestati. E aggiungeva: «Se il Partito della prosperità (Pp) guidato da Abiy Ahmed si azzarda a monopolizzare il processo elettorale per garantirsi la vittoria, ci saranno conseguenze imprevedibili». La risposta del premier non si è fatta attendere: «La nostra posizione è sempre stata di tener fede alla data delle elezioni e non nutriamo alcun interesse a che la competizione elettorale non debba aver luogo. Tuttavia, la pandemia ha stravolto la situazione». Abiy denunciava, a sua volta, la politica repressiva del Tplf nei confronti di molti leader politici dell’opposizione, quando era alla testa della coalizione del Fronte democratico rivoluzionario del popolo etiopico (Eprdf) e ha proseguito con un ammonimento: «Dovete anche voi operare democraticamente sul vostro territorio. Non avete il diritto di reprimere l’opposizione nello stato regionale del Tigray e pretendere libertà assoluta di discussione e deliberazione all’interno del governo federale». Ha concluso denunciando chi lavora in collaborazione con forze esterne nemiche dell’Etiopia, mettendo a rischio la pace, la sicurezza e la sovranità del paese.

La provocazione eritrea. L’incontro di Addis Abeba ha fatto emergere la battaglia politica in corso tra il Tplf e il primo ministro, che non ha mai incontrato simpatie o vero riconoscimento in Tigray. E questo spiega la ragione dell’inattesa visita, in aprile, del presidente eritreo Isaias Afwerki, giunto per discutere anche dell’attuale dinamica politica nel Tigray. Il leader eritreo è visto col fumo negli occhi dal governo tigrino, ancor più dopo la sua esternazione che la politica degli woyane (i tigrini) è «velenosa», tale da distruggere le buone relazioni dell’Etiopia nell’intera regione. Aggiungendo, infine, che il Tplf cerca ogni opportunità per riconquistare il dominio politico e destabilizzare il paese. Altre forze dell’opposizione, dal canto loro, rifiutano ogni concreta proposta del governo, e hanno insistito sulla necessità di sciogliere il parlamento per formare un governo di transizione. Tra i critici è emerso Jawar Mohammed, membro dell’Olf che, dopo aver appoggiato Abiy Ahmed nell’ascesa al potere, si è successivamente allontanato dal premier, acquistando crescente notorietà specie tra le giovani masse oromo, che ha saputo attrarre facendo largo uso dei social media. E la scelta del parlamento ha creato un profondo malessere tra la popolazione oromo e si temono nuove tensioni.

I dubbi costituzionali sul voto. L’odierna legislatura formalmente terminerebbe il prossimo 30 settembre, quando si chiuderanno i 5 anni dell’attuale governo come pure delle amministrazioni regionali. In base alla Costituzione avrebbe dovuto concludersi anche il mandato governativo della coalizione del Partito della prosperità di Abiy Ahmed. L’opposizione aveva espresso dubbi sul periodo che intercorrerà tra fine settembre e lo spostamento della data delle elezioni (che slitteranno al 2021). La soluzione da loro avanzata era la formazione di un governo provvisorio. Proposta bypassata dalla scelta parlamentare del 10 giugno. Il dettato costituzionale etiopico, del resto, non offre alcuna chiara direttiva su come procedere con nuove elezioni, allorché entri in gioco un tipo di emergenza come la pandemia del coronavirus.

Le posizioni dei partiti. Prima della scelta del parlamento erano emerse tre diverse posizioni tra le forze politiche. La prima era sostenuta da chi proponeva la creazione di un governo di transizione e l’apertura di un dibattito a tutto campo, inclusa la Costituzione stessa, ritenuta obsoleta. L’obiettivo reale di tale posizione stava proprio nel riformulare l’intera Costituzione e il sistema governativo nato da essa. A sostenere tale linea erano, in particolare, i politici e i partiti di estrazione amhara, come Lidetu Ayalew – fondatore del Partito democratico etiopico – e il Movimento nazionale amhara (Nama). Costoro contestano il sistema federale del paese uscito dalla Costituzione del 1995, ritenuta l’arma politica di cui si sono serviti i gruppi etno-nazionalisti tigrino e oromo dopo la vittoria nel conflitto civile contro Menghistu. Sono convinti che tutti i problemi di oggi siano conseguenza diretta del sistema federale multietnico da essi architettato. Questa formazione, tuttavia, appariva disposta a dialogare col governo per giungere a una seria transizione e a un accordo su una compagine politica rinnovata. Anche perché, tutto sommato, ritengono l’attuale esecutivo il male minore, e temono che gruppi etno-nazionalisti come il Tplf, vincendo le elezioni, possano vendicarsi su di loro e su altri che fanno parte della nuova coalizione governativa del Partito della prosperità. Il secondo gruppo sosteneva che la data delle elezioni vada rispettata o, al massimo, posticipata per un breve lasso di tempo dalla scadenza del presente governo a fine settembre. La motivazione principale che li spingeva – opposta a quella del primo gruppo – è garantire la continuità del presente sistema federale multietnico, che riafferma l’autonomia amministrativa regionale e l’autodeterminazione politica (da notare che la Costituzione prevede perfino la possibilità di secessione di uno stato federale dopo legittimo referendum). I sostenitori di tale posizione erano in particolare il Tplf e l’Ofc, fondato da Merera Gudina. Questi gruppi hanno perso ogni fiducia nella leadership di Abiy Ahmed e nel suo governo, e temono un processo di graduale centralizzazione del potere da parte del suo partito. Il Tplf, in particolare, accusa Abiy Ahmed di tradimento, da quando si è trovato estromesso dal potere con cui aveva dominato per decine di anni la coalizione dell’Eprdf, costruita dall’ex primo ministro tigrino Meles Zenawi. Temono che, in tal modo, la loro autonomia regionale possa venire soppressa. A questo punto non è una posizione remota quella di organizzare in proprio le elezioni in Tigray. Il terzo gruppo, infine, era ed è composto dai partiti che formano l’attuale coalizione governativa riunita appunto nel Partito della prosperità e da tutti coloro che la sostengono. Il loro obiettivo era restare al potere fino alle elezioni, qualunque sia la data in cui si terranno. Mostrandosi, tra l’altro, quasi certo di vincere le elezioni stesse, il Pp non intende cedere alle proposte alternative offerte dall’opposizione. Ed è quello che è successo.

Le violazioni dei diritti. Di recente il governo è stato accusato da Amnesty International di abuso di potere e violazione dei diritti umani. Una denuncia rigettata dall’esecutivo. Peraltro, continuano la situazione di instabilità e le schermaglie tra governo e ribelli in alcune aree delle regioni oromo e somale. L’esito delle elezioni non è per nulla prevedibile. Potrebbe sfociare, infatti, in un rinnovato sforzo di democratizzazione, ma anche in divergenze tra i diversi contendenti capaci di condurre a esiti di violenza e di conflitto civile. Da sottolineare, infine, che l’attuale situazione di impasse politica potrebbe essere sfruttata da forze esterne. Il protrarsi della tensione tra Egitto ed Etiopia sulla Diga del Millennio sul Nilo da un lato, e il rifiuto da parte del Sudan – allineatosi in questo con l’Egitto – di firmare la proposta di accordo sull’avvio del riempimento della stessa fatta dal governo di Abiy Ahmed, uniti ai recenti scontri verificatisi tra militari etiopici e sudanesi sul confine tra i due paesi, non aiutano a sbrogliare la complessa matassa etiopica.

di Berhane Yesus Woldemariam, da Addis Abeba

NIGRIZIA NUMERO 7 – LUGLIO AGOSTO 2020 

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