Dicono che in Italia il razzismo non sia poi così diffuso; in realtà però molti preferirebbero che gli stranieri “restassero a casa loro”, e a volte scoppiano accese discussioni sul fatto che si faccia persino troppo per garantire ai migranti un’esistenza sul suolo italiano.
Fatta questa premessa, farò riferimento anche ad un altro problema: quello degli alloggi. Persino studenti meritevoli e con i giusti requisiti economici faticano a trovare un locatore disposto ad offrire loro un contratto (in questo caso anche quelli transitori rivolti ai soli studenti universitari). Sto parlando di ragazzi e ragazze che alternano studio e lavoro per affermare la propria autonomia, un’autonomia che sempre più spesso sembra apprezzata solo a parole. Tra le tante esperienze che ho ascoltato, o che ho potuto leggere online, oggi vorrei raccontare la mia, che ne rappresenta tante altre.
Al di là di tutte le problematiche connesse al mercato immobiliare, particolarmente sentite in alcune città, ed i crescenti costi degli affitti, mi sono trovata a fare i conti anche con il mio cognome. Non è già abbastanza umiliante essere discriminati per via dell’origine, o della cittadinanza: nel mio caso per essere rifiutati basta avere un cognome non italiano. Da studentessa, mentre ero alla ricerca del mio nuovo alloggio, mi è capitato in svariate occasioni che le telefonate venissero interrotte bruscamente, senza neanche un saluto o una delle solite giustificazioni, subito dopo aver comunicato il mio cognome. Certo, ci sono cognomi e cognomi, quelli che hanno un suono “esotico”, quelli che rimandano al mondo islamico, o all’Est Europa, tendono maggiormente a mettere in allerta. Ma se da italiana mi accadono questi episodi, posso soltanto immaginare cosa succeda ogni giorno ad una persona colpevole di essere nata in un altro paese.
Si potrebbe pensare al fatto che i migranti solitamente sono più poveri. Molti dati effettivamente lo confermano. Però in questo caso stiamo parlando di persone che hanno un lavoro, o che comunque sono sostenute economicamente. Si potrebbe obiettare anche che il timore sia legato all’esperienza tristemente nota degli affittuari che smettono di versare le mensilità e che per i più svariati motivi rimangono comunque nell’abitazione. Ma credo che sia molto più difficile che studenti e studentesse universitari, con un contratto di affitto solitamente annuale, possano diventare un serio pericolo. È davvero possibile che la fiducia, sempre necessaria nelle relazioni umane, venga incrinata soltanto ed unicamente da poche lettere inserite nella carta d’identità? Se alcune persone non ti lasciano neanche la possibilità di dire loro cosa fai, di cosa ti occupi nella vita, che studi hai concluso o dovresti concludere, cosa ti rimane da fare? Più di lavorare, di studiare, di fare tanti sacrifici, cosa possiamo fare per dimostrare di “meritare” almeno una modesta abitazione? Ormai ben sappiamo che, come giovani, siamo purtroppo ancora insufficientemente rappresentati. Pensiamo allora a quanto possa essere ancor più frustrante essere giovane con un cognome straniero o, ancor peggio, essere giovane e straniero.
Con ciò non intendo sostenere che le università non facciano mai nulla al riguardo, ma ovviamente non possono farsi carico sempre di tutto e tutti, questione di cui comunque si potrebbe discutere e su cui possiamo riflettere. Lo scopo del mio racconto, seppur breve, è di mostrare che il razzismo ci danneggia, danneggia la nostra formazione e di conseguenza danneggerà l’intero paese.

Giada Alagic
https://bologna.repubblica.it/cronaca/2018/09/13/news/studenti_senza_casa_a_bologna_in_piazza_spunta_una_tenda-206375697/