Export italiano di armi in Africa

L’Italia esporta metà della produzione di armi in Nord Africa e Medio Oriente

Si è tenuta a febbraio dell’anno scorso ad Abu Dhabi “Idex”, la fiera internazionale della difesa, alla quale il generale italiano Enzo Vecciarelli ha partecipato come capo di una delegazione istituzionale che comprendeva un insieme di colossi italiani del settore degli armamenti e i maggiori vertici dell’Aiad, Federazione delle Industrie Italiane dell’Aerospazio, Difesa e Sicurezza. Carlo Festucci, segretario generale Aiad, spiega come la ragione della partecipazione italiana a Idex sia soprattutto di natura politica: “è un segnale della disponibilità italiana a lavorare per superare le incomprensioni. L’Italia è vicina agli Emirati Arabi Uniti e vuole continuare a cooperare”. Queste le sue parole, chiaro segnale di come l’Italia stia cercando di riallacciare i rapporti con i Paesi del Golfo dopo lo stop alla vendita all’Arabia Saudita di bombe e missili, utilizzati nella guerra nello Yemen, voluto dal governo Conte. Revoca che rispetta comunque la legge 185 del 1990 (legge che disciplina il commercio delle armi) ma che ha portato a una incrinatura nei rapporti tra Italia ed Emirati.

In conseguenza alla revoca, la reazione del settore della difesa -negli interessi dell’industria militare, che ha visto il suo business minacciato- non si è fatta attendere. In particolare, il generale Vecciarelli ha assunto una posizione netta, dichiarando che ne avrebbero risentito interi comparti economici italiani impiegati nell’export verso i suddetti paesi. Vecciarelli ha tirato in causa anche la Realpolitik, enfatizzando come l’esportazione di armamenti sia un pilastro importante della politica di difesa e, di conseguenza, della politica estera italiana.

Se da una parte incontriamo il netto disaccordo delle lobby degli armamenti  e di alcuni parlamentari che premono per valicare la legge 185/90, dall’altra troviamo il grido di denuncia di  numerose organizzazioni che si battono per la difesa della pace, chiedendo a gran voce che la legge sia rispettata e difesa: “la revoca delle licenze non dovrebbe essere l’eccezione, ma la regola”, spiega Rete Pace e Disarmo. È evidente come le zone di destinazione degli armamenti italiani siano zone con fortissime tensioni e che risultino fra quelle a più alto rischio bellico del mondo: Stati autoritari, con i quali l’Italia non ha alleanze. Nonostante ciò, circa metà della nostra produzione di armi viene venduta ogni anno a questi regimi. 

Insomma, dall’Egitto allo Yemen, dalla Libia all’Iraq, passando per la Siria, poco importa se gli armamenti verranno utilizzati in zone segnate da pesanti conflitti, dove la violazione dei diritti umani e dei popoli è all’ordine del giorno. Più importanti sono gli affari stipulati con questi paesi: in soli quattro anni i governi Renzi, Gentiloni e Conte hanno autorizzato l’esportazione di materiali militari per quasi 17 miliardi di euro, pari al 51,2% del totale delle licenze rilasciate (33 miliardi di euro).  Eppure, la nostra Costituzione ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie, un valore a quanto pare condiviso solo sul suolo italiano. Quella dell’export bellico made in Italy è una partita troppo importante e l’interesse economico privato prevale sulla salvaguardia della popolazione civile coinvolta.

L’esportazione di armi italiane non riguarda solo l’Africa, solo un mese fa apprendevamo come delle cartucce prodotte a Forlì, nel nostro territorio, siano finite nei fucili della polizia di Bangkok. Cartucce da caccia della Rc Eximport utilizzate per reprimere i manifestanti durante le proteste. Dall’Africa al Sud-Est Asiatico, questo ci fa comprendere la portata dell’esportazioni belliche italiane nel mondo.

Ma siamo sicuri che gli europei, e più nello specifico gli italiani, condividano questa politica di esportazione che più dell’etica e della morale tiene conto della Ragion di Stato? Secondo un sondaggio condotto da Greenpeace in aprile, emerge un quadro contrario: circa il 65% degli italiani è in disaccordo con l’export di armi e il 76% ritiene che l’Italia non dovrebbe partecipare a progetti europei che comprendono la vendita di armi a stati autoritari. Una posizione chiara e precisa che delinea come gli italiani siano prevalentemente un popolo di pace.

Di Linda Della Lena

Fonti: Nigrizia;  Osservatorio Diritti

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