L’Egitto oggi è rappresentabile come una grande prigione: 60.000 sono i prigionieri politici, coloro che per difendere i propri diritti contro uno stato dispotico finiscono per essere ammanettati, se non peggio torturati ed uccisi. L’Egitto non simpatizza con la sete di conoscenza, democrazia e uguaglianza dei suoi cittadini, con i ricercatori delle varie Università presenti, così i servizi segreti egiziani svolgono il loro sporco lavoro, cercando di incutere timore e paura nei rivoluzionari.
Giulio Regeni è solo uno dei tanti ricercatori che, insieme agli attivisti, vengono torturati e uccisi: ci sono circa 3 casi al giorno. I dissidenti vengono sequestrati e portati in una destinazione ignota per essere interrogati e torturati dall’Autorità nazionale per la sicurezza. Queste torture vengono insabbiate e fatte passare come fenomeni di criminalità locale. Vengono anche operati licenziamenti di massa come strumento di dissuasione: secondo un rapporto stilato dall’organizzazione egiziana indipendente Democracy Meter, fra il 2016 e l’aprile del 2017, sarebbero stati almeno 2.691 quelli licenziati per aver scioperato. Il dissenso verso il Presidente Al Sisi viene soprattutto dalle generazioni più giovani, che esprimono tutta la loro contrarietà attraverso i social network. Non a caso il Parlamento egiziano lo scorso 18 luglio ha approvato una norma che prevede che gli utenti con più di 5mila follower vengano sottoposti alla supervisione del Consiglio Supremo per il Regolamento dei Media, che ha il potere di sospendere o bloccare qualsiasi profilo personale, siti-web o blog che “pubblicano o trasmettono notizie false o che incitano a violare la legge, alla violenza o all’odio”. Un esempio recente è quello di Amal Fathy, attivista egiziana per i diritti umani, condannata a due anni di carcere per aver postato su Facebook un video in cui denunciava le molestie sessuali e criticava il governo per la mancata protezione delle donne.
Una domanda sorge spontanea. Se l’Italia alza la propria bandiera a difesa dei diritti umani, delle libertà fondamentali, perché fonda le proprie Università in Egitto, dove i ricercatori vengono uccisi, legittimando dunque un regime di repressione?
Intanto gli attivisti non demordono e continuano a lottare insieme per difendere le proprie libertà, contro ogni forma di repressione a costo della vita.
Francesca Casanova