Dopo un dibattito parlamentare durato ben ventotto anni la Camera, lo scorso luglio, ha approvato il testo di legge che introduce il reato di tortura nell’ordinamento italiano con 198 voti favorevoli, 35 contrari e 104 astenuti. Il traguardo raggiunto però lascia l’amaro in bocca; l’attuale legge infatti ha subito delle modifiche nel suo iter legislativo, che cambiano il suo corpo e anche il suo scopo rispetto alla proposta iniziale del 2013.
Vediamo ora i sostanziali cambiamenti che la legge ha subito dalla prima proposta di legge del 2013.
In primo luogo il reato è passato dall’essere un “reato proprio“, applicabile solo a persone con una certa qualifica, quali un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio, all’essere un “reato comune“, applicabile a qualsiasi persona; questa è una differenza non da poco. Infatti il reato di tortura, come indicato dalla Convenzione delle Nazioni Unite, ratificata dall’Italia nel 1989, dovrebbe servire a punire specificamente i casi di abuso di potere e non qualsiasi tipo di comportamento violento tra privati cittadini. Nel testo di legge se il reato è commesso da pubblici ufficiali è prevista soltanto un’aggravante del reato «nel caso di sofferenze risultanti unicamente dall’esecuzione di legittime misure privative o limitative di diritti».
In secondo luogo, il testo approvato in via definitiva dalla Camera prevede che il reato si verifichi se ci sono “violenze e minacce” al plurale e non al singolare, come in precedenti versioni del testo e, se “il fatto è commesso mediante più condotte”. Questa differenza, potrebbe non rendere applicabile la nuova legge in casi di singoli episodi di violenza. Quindi il singolo atto di violenza brutale di un pubblico ufficiale potrebbe non essere punito.
La terza differenza è il passaggio da «cagiona acute sofferenze fisiche o psichiche» a «cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico».
I critici della nuova legge sostengono che questo cambiamento, ovvero la specificazione che il trauma debba essere verificabile, creerà grossi problemi rendendo la legge molto meno efficace.
Lo stesso Senatore Manconi, che ha presentato il DDL sulla tortura nel 2013, afferma che le modifiche apportate alla legge l’abbiano stravolta lasciando ampi spazi discrezionali; esempio è che il singolo atto di violenza di un pubblico ufficiale su un arrestato potrebbe non essere punito. Il PM E. Zucca sostiene inoltre che con l’attuale legge una cospicua parte degli atti commessi alla scuola Diaz, durante il G8, non si possano qualificare come reato di tortura.
Dal testo di legge emerge una non chiarezza in materia di tortura. La tortura appartiene ad una sfera diversa da quella presa in considerazione nella legge, appartiene alla sfera dei rapporti tra il potere dello Stato e della libertà personale dei suoi cittadini. È una collocazione storica e morale che, se non si accetta, non risulta essere chiaro cosa sia la tortura. Questa difficoltà di concepire la tortura si nota anche nel dibattito durato ventotto anni prima di approvare questa legge; infatti si considerano i reati di percosse, maltrattamento o lesioni sufficienti a coprire le competenze che appartengono invece al reato di tortura, anche se con la tortura hanno ben poco in comune.
È necessario quindi che la legge che condanna la tortura tenga fede alla Convezione delle Nazioni Unite ratificata dall’Italia nel 1989.
Aurora Salvalajo