Intervento di Chiara Tammaro, Centro per la Pace di Forlì, in occasione dell’incontro “La guerra non ci dà pace. Fuori la guerra dalla storia” organizzato da UDI Forlì APS – 14 febbraio 2024.
Vorrei iniziare il mio intervento riflettendo sul fatto che, quando pensiamo alla guerra, risulta spesso automatico pensare agli uomini: capi di governo, ministri della difesa, generali e soldati. Anche quando studiamo storia i personaggi raccontati sono principalmente uomini. E quando parliamo di nonviolenza il primo personaggio a cui pensiamo è Gandhi, poi Aldo Capitini e Martin Luther King. Ancora una volta nessuna donna. Ma anche le donne e il femminismo hanno avuto un ruolo importante nel movimento nonviolento e nel mantenimento della pace, come del resto lo hanno sempre avuto quando si tratta di voler cambiare in meglio la società.
Prima di illustrare le storie di varie protagoniste del pacifismo però, vorrei fare una premessa: è importante iniziare a parlare anche delle donne che contribuiscono alle guerre, infatti proprio nell’ambito di studio delle Relazioni Internazionali, la corrente femminista deve affrontare questa sfida, ovvero uscire dalla visione stereotipata delle donne come agenti solo di pace oppure come vittime della guerra, seppur vero che in tutte le guerre vi è una dinamica di genere (stupri di guerra, violenza domestica, diritti negati). Sappiamo bene che ci sono donne in primo piano tutt’oggi nelle questioni che riguardano la guerra, ad esempio Iryna Vereshchuk, vicepremier ucraina, Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri russo e fedelissima del presidente Putin, e le tantissime soldatesse che fanno parte dell’esercito israeliano. Questo perché, proprio come nella nostra quotidianità possiamo trovare anche donne maschiliste e misogine, così nell’ambito delle relazioni internazionali troviamo donne nelle forze armate, ministre o donne ai vertici dei governi che portano avanti politiche estere aggressive e violente. Possiamo quindi affermare che il militarismo è l’incarnazione del patriarcato nella società internazionale, dunque si tratta di una questione culturale e in quanto tale affligge tutti e tutte.
L’educazione sulle questioni di genere, così come l’educazione alla nonviolenza, sono quindi essenziali per creare nuove generazioni sempre più propense a creare e mantenere la pace. Per questo il Centro per la Pace in primis porta avanti varie iniziative di formazione per persone giovani e per persone adulte, riguardanti nonviolenza e diritti umani, inclusi quindi diritti delle donne e diritti lgbtq+.
Detto questo, le donne contribuiscono da sempre a gran voce alla lotta per la pace e con gli esempi che vi porto oggi vorrei mettere in luce due aspetti:
- Le donne, anche quando e dove non avevano gli stessi diritti degli uomini, hanno lavorato per la pace;
- Coniugare femminismo e nonviolenza non solo è possibile, ma è anche doveroso per affermare e mantenere la pace, così come lo è in generale favorire l’intersezionalità fra le varie cause.
Bertha Von Suttner
Nata a Praga nel 1843, apparteneva ad una delle famiglie più antiche ed altolocate della Boemia. Si batté fino alla morte per il disarmo totale di tutte le Nazioni, anche nella Corte internazionale di arbitrato, il cui scopo era risolvere le tensioni internazionali, facendo ricorso al diritto e non più alla violenza. Battaglia che combatté col proprio giornale, “Giù le armi” letto in tutta Europa, da Vienna a Roma, a Mosca, senza contare l’entusiasmo che scatenò nel giovane Gandhi.
Pubblicò nel 1889 la sua opera principale, che le garantì fama mondiale, “Giù le armi”. L’opera venne tradotta in più di 20 lingue e fu uno dei libri più letti e venduti del XIX secolo. Nel 1891 fondò la Società Pacifista Austriaca, di cui rimase presidente fino alla sua morte nel 1914, e la Associazione per il rifiuto dell’antisemitismo, con l’aiuto di importanti figure politiche austriache.
Nel 1899 Bertha darà alla stampa il suo secondo romanzo dal titolo “L’era delle macchine“, in cui si scaglia contro il nazionalismo predominante in Europa e contro la corsa agli armamenti.
Collabora con il marito per promuovere la Conferenza di Pace dell’Aia, patrocinata dallo zar Alessandro III di Russia e compie diversi viaggi in ambito internazionale per promuovere la Corte Permanente di Arbitrato, istituita dalla stessa Conferenza di Pace dell’Aia.
WOMEN’S INTERNATIONAL LEAGUE FOR PEACE & FREEDOM
Women’s International League for Peace & Freedom nasce nel 1915 grazie all’incontro di più di 1000 suffragette provenienti da 12 paesi diversi. L’obiettivo dell’incontro era inquadrare le radici della prima guerra mondiale in corso e capire come porre fine al conflitto.
1953 – Chiedono all’Onu di agire urgentemente per porre fine alla guerra in Corea. Sei mesi dopo viene firmato l’armistizio.
1960s – 1970s – Wilpf manda varie rappresentanti in missione conoscitiva in Vietnam, sia al sud che al nord. Alla fine del viaggio, le delegate della sezione americana firmano un trattato di pace con la Vietnamese Women’s Peace Coalition. Nel 1973 le delegate Wilpf si incontrano ad Hanoi con altre organizzazioni femminili per negoziare gli accordi di pace con ufficiali del governo Vietnamita.
1983 – Grazie alla campagna “STAR” (Stop the Arms Race), l’organizzazione raccoglierà firme in tutto il mondo per chiedere alla Nato di ripensare alla decisione di utilizzare i missili Pershing.
2000 – Guidano una coalizione di organizzazioni che convincerà il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ad adottare unanimemente la risoluzione 1325 su Donne, Pace e Sicurezza, primo documento del Consiglio in cui viene problematizzato l’impatto dei conflitti armati sulle donne e viene sottolineata l’importanza di un’equa partecipazione nei processi di sicurezza, promozione e mantenimento della pace, per affrontare le questioni su pace e sicurezza internazionale attraverso una prospettiva di genere.
Ragnatela di Comiso – anni ‘80
Erano gli anni della corsa al riarmo atomico, la NATO aveva approvato l’installazione di circa 572 missili a medio raggio nella base di Comiso in funzione antisovietica. Alle prime proteste partecipò anche un grande gruppo di femministe, che però notarono il linguaggio particolarmente violento degli slogan; dettaglio che, assieme al contatto con le attiviste del Berkshire, in Inghilterra, dove erano state portate avanti proteste simili, spinse le femministe siciliane ad unire le forze proprio con le inglesi per organizzare un campo pacifista, “La Ragnatela”. Comprarono un pezzo di terra a un prezzo simbolico e vissero là accampate per moltissimo tempo; le ultime a lasciare il campo lo fecero nel 1984.
Uno dei ruoli fondamentali delle attiviste inglesi e italiane fu quello di motivare la popolazione. Mobilitarono i cittadini, rendendoli più coscienti della situazione. Un atto essenziale in questo senso fu un’azione coordinata Comiso-Greenham Common, campo pacifista inglese, nel dicembre 1982: in entrambi i luoghi, a un solo giorno di distanza, le pacifiste di Comiso bloccarono l’ingresso dell’aeroporto militare Magliocco, intrecciando fili di lana colorati, e le inglesi fecero altrettanto, circondando la base NATO nel Berkshire. Dopodiché, nel 1984 l’80% dei siciliani che votarono al referendum autogestito (5 milioni di schede), si espressero chiaramente contro l’installazione dei missili. La Ragnatela aveva fatto la differenza.
Barbara Deming
Barbara Deming, autrice e attivista nata nel 1917 a New York, fu una delle prime ad unire la lotta per i diritti delle donne alla promozione dell’approccio nonviolento. Grazie al suo lavoro di giornalista ha viaggiato molto, vedendo coi suoi occhi la guerra, esplorando varie parti del mondo, aprendo sempre più la sua mente. Proprio così è entrata in contatto con il pensiero di Gandhi.
Si è battuta in particolare per unire femminismo e movimento nonviolento, ma non solo, infatti andando controcorrente, quando la maggior parte degli attivisti pacifisti si concentrava solo sulla propria lotta e ancora non era arrivata l’ondata del femminismo intersezionale, si schierò già attivamente per i diritti civili dei neri nel 1963 e per questo fu anche arrestata. Nonostante ciò, non rinunciò mai a raccontare la storia delle persone segregate, senza farla diventare sua e rimanendo sempre consapevole del suo privilegio.
Ha testimoniato guerre e ingiustizie, ha descritto il suo percorso interiore senza paura di mostrarsi vulnerabile, raccontando anche la paura provata in carcere e in Vietnam, la difficoltà di mantenere un approccio nonviolento in certe circostanze e di come però riuscire a farlo sia la cosa migliore. Ha quindi saputo integrare il discorso nonviolento con quello femminista, e non solo, in tutti i suoi scritti e in tutte le sue azioni.
Questi esempi sono la dimostrazione che tutti i movimenti, il cui obiettivo è migliorare la società, risultano più efficaci se agiscono insieme: non esiste pace senza uguaglianza, non esiste femminismo senza diritti civili per tutti e tutte e non esiste niente di tutto ciò senza lotta all’emergenza climatica.