di Sara Scheda – È ormai un anno che si parla della possibilità di modifica della legge 185 del 1990, inerente al commercio di armi sul suolo italiano, da parte del Governo Meloni. In particolare, il focus sarebbe sulla rettifica dell’art. 27 comma 4, ovvero sull’obbligo da parte delle banche di credito dell’invio ogni anno, entro il 31 marzo, di una relazione riguardante i propri movimenti di commercio sugli armamenti. Questa legge nasce a seguito di uno scandalo che coinvolse la filiale statunitense di una banca italiana, la Banca Nazionale del Lavoro, accusata dell’invio illegale di armi all’Iran di Hussein.
Il panorama degli importatori di armi italiane è cambiato radicalmente negli anni successivi alla sua entrata in vigore. Nel decennio successivo all’approvazione della legge appena il 3,2% del totale delle esportazioni di armi italiane finì nelle mani di governi classificati come non liberi da Freedom House. Il disegno legge è stato già approvato in Commissione e al Senato, e ora è in esame alla Camera, si prevede il suo ingresso in aula entro maggio. Qualsiasi tipo di mediazione da parte delle sinistre per cercare di ridimensionare le conseguenze della modifica è stato ignorato. Secondo le parole del ministro della Difesa Crosetto, la legge è nata a causa di movimenti di protesta degli anni ‘80, e quindi sarebbe estremamente datata e non corrispondente più alla realtà odierna, necessitando di un’inevitabile notifica.
L’approvazione della modifica porterebbe il cittadino a non essere cosciente riguardo ai movimenti della propria banca, non dandogli la possibilità di scegliere se affidarsi ad un istituto di credito non coinvolto nel traffico o meno. La trasparenza del meccanismo di traffico di armi a dire il vero era già stata erosa negli anni, tra scandali e mancanza di garanzia della Costituzione, che prevederebbe al suo interno l’art. 11, che cita il ripudio della guerra, ma l’esistenza della legge 185 in qualche modo offriva maggiori garanzie a riguardo.
Lo scopo della legge è molto chiaro: pressare il commercio delle armi ed evitare rallentamenti, andando a ledere la trasparenza dei movimenti. Per i commercianti delle banche di credito «bisogna assolutamente intervenire sull’architettura della legge e sulle modalità con le quali questa regola il settore dando vita a processi autorizzativi estremamente lunghi e a incrostazioni burocratiche che creano difficoltà e “frizione”». A loro dire la 185 «impedisce alle nostre aziende di essere competitive». Ancora: «oggi il 70% del fatturato industriale viene dall’export».
Al contempo Crosetto, già in passato aveva detto che si tratta di «un settore ad altissimo valore aggiunto, uno dei pochi asset strategici e tecnologici rimasti in questo paese. Il problema è che non c’è abbastanza produzione per soddisfare una domanda di investimento in tutte le nazioni», sottolineando come ci sia la necessità di aumentare il ritmo di produzione degli armamenti. Ancora Crosetto, dopo un lungo discorso focalizzato sull’arroganza delle banche etiche, le accusa di andare contro una decisione puramente legale, e anche di penalizzare il lavoro degli imprenditori di questo settore. Nasce così la proposta di creare «una banca ad hoc per supportare l’export militare», che divenendo una banca statale, non potrebbe rifiutarsi di commerciare come fanno altre banche.
Secondo i report di SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute), l’Italia nel biennio tra il 2020 e il 2022 ha esportato ben il 72% del totale dell’export di grandi sistemi d’arma a paesi non liberi secondo Freedom House, traguardo mai raggiunto negli ultimi 34 anni, arrivando al 36% dell’export, sopra la media europea.
Secondo le parole di Anna Fasano, presidente di Banca Etica:
“Se il voto favorevole registrato in Commissione si tradurrà in legge, ciò non solo impedirà al Parlamento di svolgere la sua funzione costituzionale di controllo in materia di export delle armi, ma comprometterà seriamente la libertà di scelta consapevole della cittadinanza e delle imprese che affidano i propri risparmi e investimenti alle banche e agli operatori finanziari, mettendo inoltre a rischio la stessa opportunità di confronto tra le Istituzioni e le organizzazioni e i movimenti attivi per la pace e in materia di disarmo e diritti umani nel mondo.”
Il futuro della modifica di legge sarà chiaro solo dopo l’esito dell’esame alla Camera, nel frattempo molte realtà stanno protestando per evitare che la proposta diventi realtà tramite lettere ai parlamentari, assemblee pubbliche e altre tipi di mobilitazioni.