Negli ultimi giorni si è discussa in tutto il mondo la decisione dell’Alabama di approvare una nuova legge sull’aborto, totalmente limitativa della libertà personale, facendo scontrare nel dibattito pubblico una collettività incredula sul come sia possibile rimettere in discussione diritti ottenuti da più di cinquant’anni.
La legge firmata dal governo la scorsa settimana nega la possibilità di abortire in quasi tutti i casi (tranne le gravidanze extrauterine e in caso di anomalie letali del feto), senza eccezioni per stupro o incesto, e stabilisce pene fino a 99 anni di carcere per i medici che attuano tale procedura.
Questa ondata di restrizioni si stabilisce come la sfida più diretta dai tempi della sentenza Roe contro Wade del 1973, conseguentemente alla quale la Corte Suprema stabilì la depenalizzazione dell’aborto, in un’ottica di limitazione dell’ingerenza statale in almeno 46 stati, secondo due principi:
1) possibilità di interrompere la gravidanza fino a quando il feto sia in grado di sopravvivere al di fuori dell’utero materno, condizione che si verifica tra le 24 e 28 settimane;
2) possibilità di interruzione anche oltre questa soglia, in caso di pericolo per la salute della donna.
Ora tutto questo viene messo in discussione partendo dalla concezione che la vita inizi col primo battito cardiaco del feto, rendendo quindi illegale l’aborto nel momento in cui il battito può essere rilevato (“heartbeat bill”), cosa che solitamente avviene intorno alle sei settimane, quando la maggior parte delle donne non ha ancora idea di essere incinta.
Ma l’Alabama non è l’unico stato americano ad aver agito in questa direzione:
- il governatore del Mississippi Phil Bryant ha firmato un disegno di legge “heartbeat” a marzo. “Il battito del cuore è stato il segno distintivo della vita sin dall’inizio dell’uomo” ha detto Bryant prima di firmare;
- il governatore dell’Ohio Mike DeWine ha firmato un disegno di legge “heartbeat” in aprile;
- L’attuale legge della Georgia consentiva alle donne di sottoporsi a procedure di aborto fino alla 20a settimana di gravidanza. La nuova legge firmata dal governatore Brian Kemp vieterà gli aborti dopo che un battito cardiaco fetale sarà stato rilevato e avrà effetto dal 1 ° gennaio 2020;
- il Kentucky ha firmato una legge “heartbeat”, ma un giudice federale ne ha bloccato l’applicazione;
- l’Arkansas legifera sul blocco degli aborti dopo 18 settimane di gravidanza;
- lo Utah ha cercato di far approvare la medesima legge dell’Arkansas, che però è stata bloccata in aprile.
Oltre a questi stati che si sono già mossi nella direzione “pro-vita”, molti altri stanno già lavorando per far approvare legislazioni anti aborto, come il Missouri, la Louisiana, la Carolina del Sud, la Virginia occidentale, Florida e Texas.
Al contrario negli stati controllati dai democratici sono state promosse leggi a protezione dell’aborto:
- a New York sono state introdotte clausole per praticare l’aborto anche dopo 24 settimane, in casi di pericolo per la madre o il feto, decisione che il Governatore Andrew Cuomo ha commentato così: “Con la firma di questo disegno di legge, inviamo un chiaro messaggio che, qualunque cosa accada a Washington, le donne a New York avranno sempre il diritto fondamentale di controllare il proprio corpo“.
- Nel Vermont, il legislatore ha approvato una proposta di modifica della costituzione statale per garantire il diritto all’aborto.
- La Camera dei rappresentanti del Maine ha votato per approvare un progetto di legge che amplierebbe il numero di operatori sanitari che possono praticare aborti nello stato.
- L’assemblea del Nevada ha approvato una legge che riscriverebbe le norme statali esistenti per non richiedere più ai medici di dire alle donne le “implicazioni emotive” di un aborto.
Secondo i sondaggi, il 56% dei votanti ha dichiarato di opporsi agli stati che approvano leggi come quelle di Georgia e Alabama; il 45% degli elettori repubblicani ritiene che l’aborto debba essere legale in caso di stupro, incesto o quando la vita della madre è a rischio e solo il 20% sostiene un divieto totale.
Il presidente Donald Trump e il leader della maggioranza al Senato Mitch McConnell hanno preso le distanze dalla legge, ribadendo il loro sostegno all’aborto in caso di stupro, incesto o quando la vita della madre è in pericolo.
Gli americani non supportano queste politiche, in quanto restii a prendere una decisione così definitiva in materia e anche tra gli oppositori dell’aborto le motivazioni non sono poi così chiare. Quindi cosa sta succedendo?
Fino ad ora i sostenitori del diritto all’aborto hanno faticato a mobilitare gli elettori perché, essendo stato ormai regolamentato in passato, è percepito come un problema di “nicchia”, una cosa di cui smettere di preoccuparsi, nonostante le recenti tendenze avverse. Dal 2011 infatti sono proliferate le restrizioni a livello statale sull’aborto, sfociate in un mosaico di leggi che ne hanno reso più costoso e meno accessibile il percorso. Oltre alla consulenza, al periodo di attesa e ai requisiti per quanto riguarda gli ultrasuoni, che possono aumentare tempi e costi riducendo l’accessibilità a questi servizi, negli ultimi anni molte cliniche sono state chiuse a causa di una combinazione di fattori, tra cui le già citate leggi statali. Ad esempio in Missouri, dal 2008 ad oggi, i fornitori di servizi di aborto sono diminuiti da 6 a 1 e decine di cliniche nel Sud e Midwest sono state chiuse.
I legislatori sono riusciti a “farla franca” con un’agenda così impopolare, perché il pubblico rimane inconsapevole della portata della crisi e la maggior parte della popolazione non è a conoscenza delle restrizioni attuate. Tuttavia è difficile prevedere quale ne sarà la ricaduta, in quanto la questione rischia di enfatizzare le differenze regionali e politiche del paese, piuttosto che assicurare una vittoria ad una delle parti. La faccenda sembra comunque destinata a diventare ancor più politicizzata, in vista della corsa presidenziale del 2020, anche se la Corte Suprema sembrerebbe desiderare il contrario.