La protesta del movimento Hirak non si ferma neppure con il coronavirus. Prende altre forme. L’unità tra generazioni, ideologie e ceti sociali è il suo segreto. Ci si batte per avere un regime parlamentare e per dare centralità alla questione femminile.
«Siamo qui per impedire le divisioni. Soltanto se siamo uniti, le autorità perderanno il potere sulle masse», ci spiega Thineinane Makaci, attivista in prima linea del movimento Hirak in Algeria e giornalista del quotidiano di sinistra l’Expression, per il quale segue udienze dei processi per corruzione. L’unità tra generazioni, ideologie e ceti sociali è il segreto del movimento algerino, iniziato il 22 febbraio e che alla 56ma settimana consecutiva di proteste ha ottenuto la fine dell’era di Abdelaziz Bouteflika e arresti senza precedenti di figure di spicco delvecchio regime, tra cui i generali Menad Nouba, Habib Chentouf, Said Bey, Abderrazak Boudjemaa Boudouaour e gli ex premier, Ouyahia e Abdelmalek Sellai.
Ma alla piazza ciò non basta. Restano in prigione alcuni dei leader simbolici del movimento come Karim Tebbou, arrestato con l’accusa di attentato all’unità nazionale; mentre è stata disposta la scarcerazione, a inizio marzo, di Foudil Boumala, uno dei più importanti attivisti per la difesa dei diritti umani, arrestato nel settembre 2010. A mettere i bastoni tra le ruote alle loro azioni però è arrivato il coronavirus. Alcune associazioni si sono espresse per interrompere le manifestazioni. Martedì 17 marzo gli studenti sono ugualmente scesi per strada in diverse città, anche per fare informazione, per distribuire simbolicamente delle mascherine, in polemica con i ritardi del governo a prendere misure, e naturalmente confrontarsi sul da farsi, come organizzarsi diversamente. C’è la convinzione che la nazione continuerà con i social, che sono stati molto attivi in questo anno di proteste. Ma si pensa anche a bandiere, striscioni e altro. C’è la convinzione che il coronavirus non potrà fermare il movimento.
«Dove sei giustizia? Chi vende la polvere è fuori, gli altri in prigione». È uno degli slogan della piazza in riferimento al figlio Khaled del nuovo presidente algerino, Abdelmadjid Tebboune, implicato in un grande scandalo per lo spaccio di 7 tonnellate di cocaina e di recente scagionato. «Tebboune non è il mio president. È designato. Vorrei un regime parlamentare con Assemblea costituente permanente, non importa se causerà instabilità politica», ci confessa Yasmina Chouaki, attivista dagli anni ’70, nei movimenti degli anni ’80 per l’abrogazione del codice della famiglia e dello status personale fino al Mouvement citoyen del 2001, a dimostrazione della continuità nel tempo delle rivendicazioni della piazza.
Prima del coronavirus è sempre stato imponente il dispiegamento delle forze di polizia algerine con numerosi posti di blocco tra Orano e Algeri e aerei che sorvolavano continuamente i cieli delle grandi città. Nelle imponenti manifestazioni, gli attivisti raggiungevano la Grande Poste nel centro di Algeri. Nei primi tre mesi di proteste, i manifestanti attraversavano anche il tunnel che parte da rue Bidouche, in seguito chiuso dalla polizia dopo il lancio di lacrimogeni che ha messo in pericolo tanti attivisti.
«Siamo in un processo rivoluzionario, l’esercito ha cercato di manipolare il movimento, per esempio inserendo criminali nelle manifestazioni», ha commentato Yasmina. Con lei concorda Fisia, docente di fisica dell’Università di Orano. «Non abbiamo ottenuto ancora molto, l’esercito è più debole dopo la morte del generale Gaid Salah (dicembre 2019, ndr). Ma intellettuali e tecnici non vogliono entrare in politica, sebbene a molti di loro sia stato proposto».
È donna la vera anima delle proteste, la vera anima delle proteste algerine sono proprio le donne, come ha dimostrato l’imponente corteo dell’8 marzo scorso. «Ci sono tante donne ma ne vorrei anche di più», ha ammesso Yasmina. «Dobbiamo imporre la questione femminista: femminizziamo gli slogan dell’Hirak», auspica. «Vogliamo il cambiamento del sistema: l’abolizione del codice familiare, l’accoglimento della Convenzione per l’eliminazione delle discriminazioni contro le donne (Cedaw), che l’Algeria ha firmato con riserva», ha aggiunto. Due femministe storiche sono diventate il simbolo di queste proteste: Fadma Sumer, leader berbera del movimento di resistenza all’occupazione francese, e la femminista comunista, Hassiba Ben Bouali. Della resistenza delle donne algerine negli anni ’90 parla anche Papicha di Mounia Meddour. Il film ha vinto due César confermando lo stato di grazia del cinema algerino. Non mancano neppure le richieste di diritti per la comunità lgbt. In particolare, il gruppo Mahaba chiede la depenalizzazione dell’omosessualità. Nelle scorse settimane due attivisti sono stati arrestati per aver inscenato un matrimonio omosex sui social, con l’accusa di attentato alla moralità dello stato.
Per le strade di Algeri echeggiano anche richieste sociali. Dal Rassemblement action jeunesse (Raj) di Abdel Wahab Fekhsawi, alle reti islamiste di Reaseau Rached, fino ai sindacati del pubblico impiego (Snapap), degli insegnati (Unpef) e degli autonomi del Cla.
«Il più grande errore dei politici è l’elitismo: pensano che gli algerini siano depoliticizzati. Invece il movimento è altamente politicizzato», ha confermato Thineinane. E se la televisione pubblica nazionale boicotta le proteste, i cyber attivisti algerini impazzano sui social e tra le tv berbere delle diaspore nel mondo. E così dai rap di Soul King ai cori degli ultras della squadra di Algeri, Mouloudia, come “la capitale è nostra”, gli algerini si stanno anche riappropriando della loro lingua.
La lunga lotta dei lavoratori algerini per formare sindacati indipendenti dal Sindacato generale dei lavoratori (Ugta), va avanti ormai da due decenni. Eppure le autorità continuano a punire scioperi e manifestazioni con arresti sommari. «Con Hirak ci siamo ripresi le richieste di giustizia sociale di cui si era fin qui appropriato il regime», ci ha assicurato Sofiane Baroudi del comitato per l’eradicazione del lavoro precario. Tuttavia, con il successo del movimento, i sindacati autonomi hanno subito una repressione diffusa, nonostante le ripetute richieste dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Oit) di procedere alla registrazione dei sindacati indipendenti algerini, permettendo loro di esistere. Ma la lista è lunga. Kaddour Chouicha, president del sindacato autonomo dei lavoratori degli Alti studi (Sess), è stato condannato a un anno per aver criticato l’esercito. (G.A.)
Chiara Cifani da NIGRIZIA NUMERO 4 – APRILE 2020