Rotta balcanica o rotta Europea?

Rotta balcanica o rotta Europea? Venerdì 5 febbraio, in un incontro organizzato dalla Pastorale Sociale della Diocesi Forlì Bertinoro, se ne è parlato online con Maria Cristina Molfetta della Fondazione Migrantes e Silvia Marone, di Ipsia-Acli, coordinatrice dei progetti della cosiddetta rotta balcanica.
Che cos’è la rotta balcanica? E’ una via di transito che le persone rifugiate utilizzano e che va dai confini turco-greci fino a Trieste, passando per Grecia, Macedonia, Serbia e Ungheria o dalla Bosnia per la Croazia e la Slovenia (questi ultimi due Paesi dell’UE, insieme a Grecia e Ungheria).
Forse però sarebbe più corretto chiamarla rotta Europea, visto che costringe le persone a passare da certi Paesi perché tutte le altre vie sono state chiuse con la complicità dell’UE, che ha esternalizzato i suoi confini con gli accordi del 2016 con la Turchia, col dittatore di fatto Erdogan (in cambio di 6 miliardi di euro da versare per tutta la durata dell’accordo, con i quali Erdogan probabilmente ha finanziato anche l’invasione armata in Siria nell’ottobre del 2019); con la Libia (un accordo fra Italia e Libia è stato rinnovato il 2.2.2020 nonostante sia stato dimostrato che non è un Paese sicuro, che i migranti qui sono vittime di trattamenti inumani, rapimenti, estorsioni e torture, oltre a sfruttamento sessuale delle donne); con l’Ungheria di Viktor Orban (che ha costruito un muro e innalzato recinzioni per difendere i confini e, così lui afferma, l’integrità cristiana e le tradizioni ungheresi) e con il Ministero dell’Interno italiano, condannato nel gennaio del 2021 dal TAR di Roma per aver effettuato respingimenti illegali nel confine fra Italia e Slovenia (nell’anno 2020 avrebbero riguardato circa 1.300 persone).

Perché la gente scappa dal proprio Paese di origine per mettersi in situazioni di pericolo e sovente di illegalità? (molto spesso queste persone, non avendo canali di viaggio legali, devono affidarsi a trafficanti che chiedono mediamente 1.200 dollari a testa per “farti arrivare in Europa”)
Le ragioni ormai dovrebbero essere note, ma vale la pena ribadirle per titoli:
 guerre, conflitti armati, terrorismo e instabilità del proprio Paese (nel 2019 si contano 30 conflitti armati attivi e 18 crisi, mentre nello stesso tempo, a partire soprattutto dal 2015, la vendita di armi nel mondo aumenta vertiginosamente);
 disuguaglianze economiche, che impediscono ogni prospettiva di vita (nel 2019 l’1% più’ ricco del pianeta controllava il 47,2% delle risorse, il 50% dei più’ poveri aveva lo 0,4% delle risorse);
 mancanza di cibo, acqua e servizi sanitari;
 desertificazione delle terre;
 fenomeno del “land grabbing” (un fenomeno “recente” per cui multinazionali e grandi fondi di investimento comprano le terre migliori dai Paesi più poveri e le destinano a produzioni o allevamenti speculativi).

Nel 2019, a fronte di 1.400.000 persone rifugiate in cerca di riparo lontano dal proprio Paese, solo 108.000 hanno trovato assistenza in 26 Nazioni del mondo, l’Italia di queste ne ha accolte 1.355. Sempre nel 2019 nel mondo ci sono stati circa 80 milioni di profughi, la stragrande maggioranza però non si allontana molto dal proprio Paese di origine nella speranza di poter ritornare, speranza molto spesso destinata a “sfiorire” nei campi profughi.

Si può affermare che la cosiddetta rotta balcanica/Europea sia nata dal 2001 in poi, quando sono incominciati gli interventi armati in Afghanistan e poi in Iraq e sia continuata dopo le cosiddette “primavere arabe”, quando in Siria il regime di Assad ha portato il Paese alla guerra civile.

Questa rotta ha un suo fulcro in Bosnia, che conta 2.500.000 abitanti ed ospita 7 campi, di cui 5 con circa 5.000 persone si trovano nel piccolo comune di Bihac. Siccome questi campi sono spesso sprovvisti di tutti gli elementari servizi per una gestione positiva degli stessi, molto spesso i rifugiati sono costretti a bivaccare per le strade creando inevitabili disagi ed un forte risentimento nella popolazione locale, che li vede non come “fratelli” da aiutare (molti tra l’altro sono di fede musulmana), ma come “problema” da allontanare. Il campo profughi a Lipa è un esempio di ciò: creato per il contenimento di eventuali problematiche Covid fra i migranti, oggi ospita 1.500 persone con 30 tendoni e 30 bagni chimici, dove tutti sono “ammucchiati” e riscaldati attraverso l’utilizzo di generatori. Il cibo viene garantito da un servizio della Croce Rossa, che offre una colazione fredda e un pasto caldo. Lipa tra l’altro è in un altopiano battuto da un forte vento gelido, soprattutto in inverno.

Le persone che vengono in questi campi arrivano da Afghanistan, Pakistan, Siria, Bangladesh e vi sono anche molti Curdi. Le loro destinazioni immaginate e sognate sono la Francia, la Germania e l’Inghilterra. Solo pakistani e bangladesi preferiscono l’Italia, in quanto vi sono comunità importanti di connazionali. Il governo bosniaco per gestire questi campi ha ricevuto dall’UE la cifra di 89 milioni di euro. In Italia nel 2020 abbiamo avuto una domanda di asilo ogni 2.000 abitanti, cioè una percentuale molto bassa, mentre, paradossalmente, si spendono soldi solo per tenere le persone fuori dall’Europa. Il nuovo “Patto su asilo e migrazione” promosso nel settembre 2020 dalla Commissione Europea, non risolve i problemi, anzi ci condannerebbe ad avere dei grandi campi fino al termine della richiesta di asilo, o fino a quando le persone non vengono rimpatriate (i rimpatri tra l’altro sono molto complessi dal punto di vista burocratico formale e anche del diritto internazionale).

Non c’è più la parola solidarietà fra i paesi dell’UE, almeno come la si intende normalmente. Essi sono tenuti ad essere solidali solo facoltativamente, o solo dando denaro a chi accoglie per primo i migranti o a chi li rimpatria. Vengono di fatto negati i diritti umani e i diritti delle persone (l’uso della tortura, della violenza nei confini bosniaco-croati è di fatto uno strumento di “dissuasione” utilizzato dalle forze di polizia con il silenzio dell’UE).

Silvia Marone ha spiegato che oggi non servono aiuti materiali (un camion di aiuti costa 2.000 euro se parte dall’Italia, solo per le spese di allestimento e trasporto e magari consegna cose non utili o non necessarie) se non sono strettamente coordinati con chi lavora, come lei, nei campi profughi.

Servono invece più risorse economiche, per comprare in loco quello che è necessario o costruire locali accoglienti (cucina, servizi igienici, luogo di culto, palestra), favorendo con ciò anche le economie dei luoghi dove sono situati i campi. Poi bisognerà riprendere i viaggi di conoscenza, non tanto per fare le visite allo “zoo dei migranti”, ma per favorire in contesti preparati l’incontro con persone che provengono dall’Europa. Sono invece da evitare gli interventi “spot”, anche di personalità politiche, perché se non sono concordati, alla fine lasciano più problemi di quelli che, magari meritoriamente nelle intenzioni, vorrebbero denunciare o risolvere. Questo nei tempi medio-brevi, nei lunghi tempi bisogna che cambi radicalmente l’approccio politico ed operativo al tema della migrazione; Maria Cristina Molfetta dice che dobbiamo essere capaci di capire che: “la vita sta nell’immaginarsi un futuro con qualcuno accanto”.

Se faremo questo sforzo di “immaginazione” forse le cose possono cambiare; nel frattempo vi invito a leggere ed approfondire i due rapporti che hanno costituto la fonte principale di questo articolo: ”Il Diritto d’Asilo. Report 2020” della Fondazione Migrantes e “La rotta balcanica: dossier Balcani” febbraio 2021, editore Altreconomia:
https://www.migrantes.it/category/pubblicazioni/rapporti/repot-dirittodasilo/;
https://altreconomia.it/prodotto/la-rotta-balcanica-2021/ .

Raffaele Barbiero, 8.02.2021
operatore Centro per la Pace Forlì-APS

Condividi su Facebook

Articoli recenti:

Richiesta di ammissione a socio

Modulo da compilare in ogni sua parte.
Una volta inviato riceverete una mail con il modulo pronto
per essere firmato e reinviato (o consegnato direttamente).