Lo scorso 21 gennaio le truppe turche, su ordine del presidente Erdogan, hanno dato il via all’ “Operazione Ramoscello d’ulivo” che prevede un massiccio attacco contro i gruppi curdi siriani YPG (Unità di Protezione Popolare) e PYD (Partito dell’Unione Democratica) . L’aviazione e l’artiglieria terrestre hanno iniziato una serie di bombardamenti pesanti nella regione di Afrin, situata nel nord-ovest della Siria, con l’assenso del presidente siriano Assad. L’azione di terra è stata appoggiata da unità ribelli che combattono in favore del governo di Ankara e dal gruppo FSA (Free Syrian Army).
I pesanti bombardamenti sono stati giustificati dal Presidente turco Erdogan perché il gruppo “Unità di Protezione Popolare” e la sua frangia armata, la “Unità di Protezione Popolare, sono accusati di sostenere i gruppi terroristici legati al Partito dei Lavoratori Curdi (PKK), che è stato espulso dal paese più di dieci anni fa.
La seconda fase dell’operazione prevede un attacco massiccio via terra della vicina città di Manbij, roccaforte del gruppo di Unità di Protezione Popolare. Questo ennesimo attacco di Erdogan contro la minoranza turca rischia di causare grandi ripercussioni a livello internazionale: rischia in particolare di incrinare significativamente le relazioni con gli Stati Uniti e quindi con tutti i paesi appartenenti alla Nato. Gli Stati Uniti infatti stanno finanziando, addestrando tramite la CIA e armando il gruppo attaccato da Erdogan; Obama prima e Trump adesso stanno utilizzando la frangia armata del movimento, il Partito dell’Unione Democratica, come milizia per combattere i membri dello Stato Islamico (Isis).
Erdogan ha risposto alle accuse mosse dagli americani dopo i primi attacchi affermando che tutti i gruppi armati curdi sono “terroristi” e che quindi rappresentano una minaccia alla sicurezza nazionale. Ormai tutti abbiamo imparato a conoscere il volto “diplomatico e democratico” del presidente turco e le sue dichiarazioni, purtroppo, non sembrano più suscitare indignazione nella Comunità Internazionale. Il Capo di Stato turco, facendo leva sul ruolo chiave che la Turchia può giocare per la Nato nella regione mediorientale, ha spesso violato i basilari diritti umani sapendo di non ricevere alcuna condanna, se non quella “morale” dai partner europei e dal gigante americano.
L’ “Operazione Ramoscello d’Olivo” rischia però di creare una forte tensione con gli Stati Uniti e forse per la prima volta la Comunità Internazionale, capeggiata dagli americani, metterà un freno alle manovre di Erdogan. Il Pentagono ha infatti dichiarato che appoggia la linea difensiva creata fuori da Manbij dal gruppo di Unità di Protezione Popolare per difendersi dall’imminente attacco turco. Lo stesso presidente Trump ha dichiarato, tramite una nota ufficiale, che desidera fortemente una de-escalation da parte della Turchia e che è molto preoccupato per la retorica falsa e pericolosamente distruttiva di Erdogan. Ovviamente questa dichiarazione, anche se espressa da una figura che condivide molti tratti con il presidente turco, può avere una forte influenza su quest’ultimo e potrebbe portarlo a desistere dall’attaccare la città di Manbij.
Ankara ha risposto alla nota di Trump affermando che l’operazione potrà portare ad un duplice obiettivo: eliminare i “terroristi curdi” e far tornare in Siria, nell’area adesso occupata dai curdi, circa 3,5 milioni di siriani che oggi risiedono in Turchia. Per adesso la situazione si trova in una fase di forte stallo; Turchia e Stati Uniti stanno dialogando tra loro, sia tramite canali ufficiali che informali, per cercare di trovare una soluzione. Quello che è certo è che nuovamente il popolo curdo si trova sotto attacco, costretto a lottare per la propria sopravvivenza. L’ultima dichiarazione di Erdogan inoltre dovrebbe farci riflettere: la sua idea di liberare la regione di Afrin dalla presenza curda per far rimpatriare i siriani residenti in Turchia, suona tanto come un’operazione di “pulizia etnica” che dovrebbe allarmare tutta la Comunità Internazionale nel suo complesso.
Speriamo che, anche se l’obiettivo americano è un altro, l’intervento del presidente Trump possa portare Erdogan a desistere dall’attacco e a risparmiare nuove sofferenze al popolo curdo.
Michael Scrima