Sempre più controversa e irrisolta appare, ancora oggi, la situazione curda, nonostante il trascorrere incessante dei mesi: ora il reale scopo della Turchia è quello di combattere le milizie curde dell’Unità di Protezione Popolare (YPG) e ottenere degli importanti risultati strategici. I tre scopi primari, come suggerisce il sito web dell’ISPI, Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (Roma), sono riconducibili all’impedimento di creare una regione autonoma curda nel cosiddetto Rojava, a compattare e aumentare il consenso interno in Turchia e, infine, a modificare gli equilibri politici nella zona orientale del Paese.
Il primo obiettivo sembra realizzarsi soprattutto per via del crescente disinteresse degli USA sul futuro della Siria e per via dell’irremovibile opposizione della Turchia di fronte a qualunque ipotesi autonomista. Tale nazione punta a ricollocare un milione di rifugiati siriani, prevalentemente di etnia araba, all’interno di un territorio in cui si stima che vi sia una presenza di circa due milioni di curdi siriani; c’è un’evidente volontà turca nel rendere il territorio in questione più frammentato possibile da un punto di vista etnico e dunque assolutamente non propenso a indebolire la presenza del YPG nella regione. Ciò che potrebbe verificarsi è la nascita di un malcontento generale, forti tensioni e scontri tra la popolazione curda ed araba, con il rischio che questi ultimi siano armati e fortemente violenti. Se così fosse, lo scenario andrebbe a prevedere l’impegno annuale delle milizie curde a una serie di lotte interne a bassa intensità e la città di Ankara, a sua volta, potrebbe rafforzarsi a livello di sicurezza territoriale.
Il secondo fine dell’operazione militare, da non sottovalutare e dimenticare, è legato al consenso interno, strettamente connesso ad una fase di grave debolezza economica per la Turchia: infatti, l’intervento armato è senz’altro funzionale a spostare il dibattito dai problemi dell’economia, a distogliere l’attenzione dall’aumento dell’inflazione e dalla consapevolezza che lo Stato sia in un periodo di recessione. L’intervento armato dovrebbe essere utile a far accrescere il consenso interno per l’AKP, partito del Presidente Erdogan. In realtà ciò sta già accadendo: basti pensare al fatto che tutti i principali partiti del parlamento abbiano votato a favore dell’operazione in Siria, poiché si crede che l’intervento siriano sia in una sorta di continuità con l’obiettivo di sconfiggere il PKK, nemico turco per oltre 30 anni, accusato di essere un gruppo terrorista che va a mettere in pericolo l’integrità territoriale della nazione e la vita dei cittadini.
L’ultimo obiettivo, ossia la modifica degli equilibri politici nella zona est, è ambizioso e di gran lunga difficile da compiersi. Attualmente, gli USA hanno spostato le forze speciali verso sud, una strategia del tutto anti-iraniana e oltretutto gli americani ritengono che sia fondamentale il potere di controllo dei curdi nella parte orientale del Paese, al fine di privare la Siria di importanti risorse energetiche e affinché il rafforzamento del governo di Damasco avvenga in maniera significativamente lenta.
Sempre l’articolo online dell’ISPI sostiene che, anche se la Turchia avesse tutte le carte in regola e le capacità per conseguire questi tre obiettivi, si potrebbero comunque presentare dei fattori di rischio per il governo di Ankara: in primis, un 15-20% di popolazione curda potrebbe rivoltarsi contro nel momento in cui scoprisse che la nazione non è interessata a indebolire il YPG, con un conseguente ritorno della violenza nelle zone prevalentemente curde. Inoltre vi è l’impossibilità turca di contare sulla forza aerea, qualora le milizie curde dovessero attaccare, a causa di una proibizione statunitense. Ulteriore problema è l’eventualità di un rafforzamento dello Stato islamico, aumentando i rischi sia per gli USA sia per la Turchia e ciò aprirebbe l’ennesima fase di conflitto in Siria.
È chiaro e evidente a tutti, anche a chi vuol far finta di non vedere e sentire, che la situazione dei curdi è una tematica che interessa la collettività, tocca tutti da vicino e che va maggiormente tenuta in considerazione, soprattutto sostenuta e sensibilizzata ancor di più di quello che si sta già facendo.
Claudia Filippi