di Benedetta Cescon – Il recente caso avvenuto al Festival di Sanremo – in cui il cantante Ghali ha pronunciato la frase “stop al genocidio” a cui successivamente hanno risposto l’ambasciatore di Israele e l’amministratore delegato della Rai, causando una divisione della politica e dell’opinione pubblica – mi ha portata a riflettere su quale sia stato in passato il ruolo dei mezzi di comunicazione di massa e quale sia invece oggi, grazie anche allo sviluppo della digitalizzazione, nella formazione dell’opinione pubblica.
Non è un segreto che la nostra vita sia inevitabilmente influenzata dai mezzi di comunicazione, essi fanno parte della nostra quotidianità, dai giornali, alla radio, alla tv, ai social network, tutti assimiliamo le informazioni che ci portano a comporre il nostro pensiero. Proprio per questo i politici hanno da sempre cercato di sfruttarne il potere attraverso la propaganda. Il primo grande sistema propagandistico è stato senza dubbio generato in Europa durante la Prima Guerra Mondiale attraverso i giornali, i volantini di propaganda, le cartoline ed altro materiale stampato, che si rivolgeva prima ai soldati, poi ai nemici, alla nazione interna e infine all’opinione pubblica avversaria e internazionale. Uno dei principali strumenti di tale propaganda era il manifesto, dove spesso si andava ad enfatizzare la “guerra giusta” per l’Italia e l’eroismo del soldato italiano. Successivamente, di grande rilievo in Italia fu la propaganda fascista, che aveva come strumento propagandistico “Il Popolo d’Italia”, giornale creato da Mussolini stesso nel 1914, che durante la prima guerra mondiale aveva lo scopo di sostenere l’irredentismo italiano e l’intervento nel conflitto. Divenne poi una delle principali piattaforme di strategia mediatica ed ebbe un ruolo fondamentale nel formare ed orientare l’opinione pubblica. Inoltre il fascismo utilizzava spesso un “linguaggio scritto di massa” che tendeva all’uniformità, all’omologazione, alla ripetizione ossessiva di alcune parole o espressioni. Di grande rilievo in quegli anni fu anche la censura preventiva, la quale obbligava gli editori ad inviare tre copie di ciascun libro in fase di pubblicazione, una alle prefetture di competenza, una a Roma alla direzione generale della pubblica sicurezza, per controllare che il contenuto non disturbasse la pubblica moralità e l’ultima all’ufficio stampa del capo del Governo per verificarne i contenuti politici.
Oggi, nell’era dei social media, è risaputo che i contenuti visualizzati sono dirottati da algoritmi personalizzati, che indirizzano l’utente a ricevere solamente informazioni e contenuti che siano conformi alle sue opinioni. Pietrandrea, in Comunicazione, dibattito pubblico, social media, sottolinea che: “segregazione ed estremizzazione non riguardano soltanto le opinioni che si possono avere rispetto ai temi del dibattito pubblico, ma possono riguardare anche più radicalmente la selezione dei temi da porre al centro di esso; se nella sfera pubblica tradizionale il compito di stabilire temi del dibattito pubblico era riservato ai partiti politici, ai movimenti di opinione, e soprattutto alla realtà contingente, nel dibattito pubblico attuale sono gli algoritmi a stabilire la visibilità e la priorità dei temi”. Con lo sviluppo della comunicazione di massa, si sono anche ampiamente diffuse le fake news, spesso dovute proprio al sovraccarico di contenuti che si generano sui social. A causa della grande quantità di informazioni prive di una certa attendibilità, l’utente medio è spesso confuso e disorientato, non sapendo più quale sia la differenza tra vero e falso. Questa incapacità di distinguere ciò che è reale da ciò che è falso, porta inevitabilmente a riflettere su quanto scriveva Hannah Arendt, in Le origini del totalitarismo: “I sudditi ideali del regime totalitario non sono il nazista convinto o il comunista convinto, ma le persone per le quali non c’è più differenza tra realtà e finzione, tra il vero e il falso”. Questi social media, liberi ed accessibili a tutti, detengono un grande potere, e per questo espongono il dibattito pubblico ad una costante manipolazione politica. In particolare la cyberguerra, agisce con l’obiettivo di creare sfiducia tra i cittadini, in modo tale che essi si allontanino dal dibattito pubblico, attraverso l’amplificazione di punti di vista controversi, soffocando dibattiti utili e manipolando il consenso su questioni problematiche, contribuendo così alla diffusione di pregiudizi, odio e intolleranza.
Riassumendo si può dire che oggi il dibattito sia composto da forti polarizzazioni e frammentazioni, causate da opinioni molto diverse e contrastanti; la disinformazione e le informazioni fuorvianti limitano il dibattito e aumentano la sfiducia collettiva, data proprio la difficile verifica delle informazioni e una concreta formazione di un’opinione. L’ampio uso delle piattaforme digitali porta dunque a nuove sfide per la democrazia, come la polarizzazione, la disinformazione e il rischio di intolleranza. Presa consapevolezza che il dibattito ci aiuta ad esplorare prospettive diverse, valutare le opinioni ed effettuare le nostre scelte, ripensando anche al recente avvenimento di censura al Festival della canzone di Sanremo, forse ci dovremmo chiedere che ruolo vogliamo avere all’interno di quest’arena mediatica e se vogliamo riappropriarci del diritto-dovere di prendere posizione. Come coloro che successivamente agli avvenimenti del Festival sono scesi a manifestare davanti alle sedi Rai inneggiando alla libera espressione.
Fonti:
P. Pietrandrea, Comunicazione, dibattito pubblico, social media, Carocci editore, 43 Roma, 2021
https://www.ansa.it
https://encyclopedia.ushmm.org/content/it/article/making-a-leader