L’Italia e la guerra: una bizzarra recita

I militari italiani ad oggi impegnati in missioni all’estero sono pari a 5.700 unità. Il quesito, ormai sempre lo stesso, da anni senza una risposta chiara e all’unisono, è concentrato sulle ragioni per cui la nostra nazione è coinvolta in tali scenari, non in linea con l’articolo 11 della Costituzione, il quale recita il ripudio della guerra e
che divide i cosiddetti “pacifisti” e “realisti”. Il giornalista del “Quotidiano Nazionale” e della rivista “Altreconomia”, Lorenzo Guadagnucci, denuncia il forte disinteresse del Parlamento nazionale di fronte a una tematica così controversa, che spesso cattura l’attenzione mediatica e che troppo spesso genera un gran caos generale, senza sapere nulla riguardo ai conflitti bellici attualmente in corso, ancora meno sulla partecipazione dell’Italia e sugli stanziamenti finanziari che la guerra stessa comporta giornalmente.
“La guerra, appena camuffata, è entrata nella vita quotidiana delle istituzioni” esordisce così l’autore dell’articolo pubblicato su “Altreconomia”. Gli atti terroristici dell’11 settembre 2001, sotto l’amministrazione del Presidente Bush, hanno diffuso in Italia e nel resto del mondo un fenomeno di cosiddetta “guerra al terrorismo” e nel nostro territorio nazionale si è acceso un dibattito politico incandescente, tanto da provocare una spaccatura fra Stato e Parlamento, fra popolo e istituzioni. Poi, come accade quasi sempre in Italia, cala il silenzio, i riflettori si spengono e fa comodo non porsi più domande e lasciar correre.

È necessario che cinque “incursori” delle nostre forze speciali impegnate nel Kurdistan iracheno debbano ferirsi nell’esplosione di un ordigno nei pressi di Kirkuk, per risollevare la questione e ridare la giusta importanza al problema: ma che cosa è realmente accaduto? Perché nessuno parla chiaro? La nostra nazione è vittima o carnefice? Sono domande che rimarranno, anch’esse, prive di risposta, in quanto vige la regola del “politicamente corretto”. Si evita di dire, di porre interrogativi che potrebbero far scaturire dinamiche imbarazzanti, e così si finisce per seguire un copione di una bizzarra recita, dove ciascun personaggio sa quando intervenire, quale sia la propria battuta e, ancora una volta, il Parlamento sta fermo e immobile, sempre più silenzioso e complice di questo strano spettacolo.

Fortunatamente esistono anche uomini diversi, e personaggi come Alex Zanotelli, missionario ed ex direttore di Nigrizia, il quale non ha avuto timore di chiedere, anzi ha avuto il coraggio di non seguire la parte che gli era stata assegnata e ha spostato i riflettori sugli argomenti tabù: ha denunciato la presenza armata dell’Italia in Nassiriya per questioni legate al petrolio e ha denunciato l’abbandono dei curdi in Siria.

L’attesissima risposta della politica è stata priva di contenuti, non favorevole all’apertura di un confronto concreto e costruttivo, di fatto deludente. Lorenzo Guadagnucci fa notare come ci sia quasi una sorta di divieto di pronunciare la parola “guerra”, preferibilmente sostituita dall’espressione “missione internazionale”, di gran lunga meno cruda e soprattutto meno crudele. Il giornalista, inoltre, tira in ballo un filologo che, all’epoca del nazismo, studiò la comunicazione di regime e “capì che l’asservimento della lingua era il veicolo per la compressione del pensiero e la manipolazione delle masse”. Sono mutati i tempi, ma la lezione rimane estremamente odierna: nel XXI secolo è doveroso sapere e voler discutere con termini giusti e adatti.

È bene dunque che tutti quanti, in primis coloro che sono direttamente responsabili e competenti, al fine di dare un esempio di correttezza e lealtà nei confronti di chi ne sa meno, ma ha comunque il diritto di vederci chiaro, si facciano un esame di coscienza e che si decida di essere nella vita un po’ più Alex Zanotelli, coraggiosi
nel dire e senza nascondersi dietro a tecnicismi lessicali; perché, come sottolinea sempre Guadagnucci, “una democrazia che non discute di questioni cruciali e si priva delle parole per farlo, è una democrazia menomata, una pseudo democrazia.”

Claudia Filippi

 

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