Gli stupri sono sempre stati utilizzati come arma di guerra, durante i conflitti armati, nel tentativo di umiliare il nemico. Con “stupri di guerra” si intendono gli stupri commessi da soldati, altri combattenti o civili durante un conflitto armato, una guerra o un’occupazione militare. In questa categoria rientrano anche le situazioni nelle quali le donne sono costrette a prostituirsi o a diventare schiave sessuali delle forze occupanti. Lo stupro di guerra e la schiavitù sessuale sono oggi riconosciuti dalle convenzioni di Ginevra come crimini contro l’umanità e crimini di guerra.
La storia degli stupri in Libia ha raggiunto il suo apice mediatico alla fine del regime di Gheddafi. Il capo procuratore della Corte Penale Internazionale Luis Moreno-Ocampo confermò che ci sono sufficienti prove che le truppe di Mu’ammar Gheddafi abbiano usato lo stupro come arma durante la guerra civile in Libia.
L’estrema atrocità di questi atti è aggravata dal fatto che nelle società islamiche una donna che viene violentata perde il suo onore e di solito viene rifiutata dalla sua famiglia e da tutta la società, essendo quasi impossibile per lei ricostruirsi una vita. Sono state tante le donne che hanno denunciato la violenza, fisica e psicologica, che hanno subito. Un esempio, forse il più noto, è quello di Iman Al Obeidi. Questa giovane donna è stata abusata da una milizia di Gheddafi. Sapeva che la stampa pro-regime non l’avrebbe ascoltata, quindi decise di recarsi presso l’albergo dei giornalisti stranieri a Tripoli, per raccontare la sua storia.
Molte altre storie sono state raccontate dopo la fine del regime. Le atrocità compiute in quel periodo sono state confermate anche dalle testimonianze di otto ufficiali del regime, ascoltati dalla Corte Penale Internazionale dell’Aja, fino a rafforzare la decisione di quest’ultima di condannare quelli libici come crimini di guerra. Dopo la destituzione e la morte del dittatore, a distanza di qualche anno, ancora poco si parla del fatto che in Libia questo crimine silente continui a colpire indisturbato. Non si tratta più di una strategia comandata dal regime, ma risponde alla logica del caos che vige tra i miliziani anarchici e inebriati dal potere.
La Libia ha ufficialmente riconosciuto la violenza sessuale come crimine di guerra attraverso un decreto costituzionale del 2014 che, stando alle parole del ministro della Giustizia, Salah al-Marghani, sarebbe dovuto divenire subito attuativo senza passare per il Congresso. Considerato però il grave caos istituzionale del Paese, è stato praticamente impossibile metterlo in pratica. Oggi le milizie autonome utilizzano lo stupro come arma sistematica per umiliare indistintamente nemici militari e civili. Non è utilizzato solo ai danni delle donne, ma spesso anche sugli uomini ed utilizzato come strumento di guerra e di dominio politico. Lo stupro di guerra ha un grave impatto sulle vittime e può essere sistematico o un isolato atto di violenza sessuale.
Secondo Amnesty International, la violenza sessuale è oggi usata deliberatamente come strategia militare anziché come stupro e saccheggio opportunistico dei secoli precedenti. In questo senso lo stupro è usato per spingere le popolazioni locali ad andarsene dal territorio occupato, decimando i civili rimasti con la distruzione delle loro affiliazioni, con la diffusione dell’AIDS e con l’eliminazione delle tradizioni culturali e religiose.
Negli ultimi mesi una denuncia è stata fatta da Medici senza Frontiere, che ha delineato un quadro infermale. La Presidente internazionale di Msf, Joanne Liu ha dichiarato “Quella che ho visto in Libia è la forma più estrema di sfruttamento degli esseri umani, basata sul sequestro, la violenza carnale, la tortura e la schiavitù e i leader europei sono complici dello sfruttamento.”
Ma questo è solo un aspetto delle violenze perpetrate dalle milizie autonome. La Presidente Liu ha cercato di attirare l’attenzione internazionale su tutti i tipi di violenza in Libia, come gli stupri delle donne incinte, dei bambini (senza distinzione di sesso e di età) e del maltrattamento dei prigionieri e dei migranti.
Le dichiarazioni della Presidente Liu sono contenute all’interno di una lettera aperta, “I governi europei stanno alimentando il business della sofferenza della Libia”, mandata a tutti i rappresentati dell’UE. Questa lettera è un invito a non rimanere ciechi, a cercare di porre rimedio a questa situazione insostenibile. Perché, dopo l’esperienza vissuta in prima persona, è consapevole che non è stanziando fondi europei per l’addestramento della Guardia Costiera libica che si riuscirebbe ad arginare il problema. La Presidente Liu chiede infatti di sostituire i finanziamenti per bloccare le rotte, con dei finanziamenti per aprire “vie per l’attraversamento sicuro e legale delle frontiere”.
Con la fine del regime di Gheddafi si credeva fosse finita la violenza e la crudeltà che per anni aveva afflitto un intero popolo, ma dopo gli ultimi sviluppi e le ultime denunce è chiaro che non è così. Sono molte le associazioni, come Ara Pacis Initiative e Umubyeyi Mwiza Onlus, che si adoperano per aiutare le vittime di stupro a superare il trauma tramite centri di ascolto e di recupero, fornendo assistenza sanitaria e psicologica.
Adesso l’intento è quello di promuovere un’azione congiunta da parte di quei governi che condividono la concezione dello stupro di massa non come effetto collaterale del conflitto, ma come vera e propria strategia militare da sanzionare e considerare come crimine di guerra.
Carmen Sindona