di Raffaele Barbiero
Riprendo questa domanda per segnalare una delle più grandi e massicce risposte nonviolente dopo la liberazione dell’India, ottenuta nel 1947 grazie alle azioni portate avanti con la guida di Gandhi e del Congresso Nazionale Indiano.
Tra l’altro, nel caso che vado ad evidenziare, non si potrà dire, come spesso si usa fare per sminuire la portata della lotta nonviolenta in India, che è riuscita perché dall’altra parte c’erano “i civili inglesi” (cosa non vera, ma non tema di questo intervento).
L’esempio che voglio citare è quello delle lotte nonviolente che hanno portato alla caduta del Muro di Berlino il 9 novembre 1989 e al disfacimento dei regimi comunisti nell’Est Europa, coinvolgendo milioni di persone in Germania dell’Est (DDR), Polonia, Cecoslovacchia (che tra l’altro si divise nel 1993 in due Repubbliche separate: Repubblica Ceca e Repubblica Slovacca senza “colpo ferire”), Repubbliche Baltiche (Lituania, Estonia e Lettonia), Ungheria, Bulgaria, non in Romania perché la caduta del regime rumeno non fu né pacifica né nonviolenta.
In questo caso l’avversario era l’URSS, oggi Russia, che sicuramente non si può definire un “nemico gentile”. Ricordo che la Russia aveva invaso l’Ungheria nel 1956, la Cecoslovacchia nel 1968, l’Afghanistan nel 1979 e imposto alla Polonia la dittatura militare del generale Jaruzelski nel 1981.
Eppure le lotte condotte dai popoli dei rispettivi stati riuscirono a rovesciare tutti i regimi di cui sopra e presero nomi anche ispirativi: “la rivoluzione cantata” delle Repubbliche Baltiche, la “rivoluzione di velluto” della Cecoslovacchia, ecc.
Si svilupparono azioni nonviolente come la grande catena umana di più di 600 km, che coinvolse 2 milioni di persone e collegò le tre capitali Tallinn, Riga e Vilnius.
Le azioni attuate in modo nonviolento
Sulla base dei due principi cardine delle azioni di lotta: NON COOPERARE e NON OBBEDIRE (inosservanza di ordini e regole imposte dall’aggressore), in Lettonia non si contano i comitati, i gruppi nati in quel periodo o che ripresero più fortemente la loro attività per opporsi attraverso proteste di piazza; scioperi dei lavoratori; petizioni; elezioni clandestine dei propri rappresentanti in qualsiasi ambito; opposizione al servizio militare; occupazione di luoghi pubblici; difesa umana e con barricate di luoghi simbolo della nuova democrazia che si voleva realizzare; azioni simboliche come “funerali” o deposizioni di fiori in luoghi dove erano avvenute repressioni violente; regolamenti o vademecum per l’azione nonviolenta o per “resistere ad un colpo di stato”; indicazione di mantenere rapporti “freddi” con i militari o funzionari russi presenti in quei Paesi; elezione di organismi di governo clandestini e conseguenti indicazioni dei governi “ombra” o dei Comitati da osservare invece che quelle formalmente legittime dei governi filorussi; modifica della segnaletica per indicare ai russi la “strada di casa”; sostegno pubblico alle persone arrestate nelle azioni di repressione delle manifestazioni pubbliche; rifiuto delle onoreficenze; non partecipazione ad elezioni o referendum richiesti dalla parte russa; foto o filmati di eventuali azioni violente della polizia o dei militari russi; gruppi organizzati per la difesa di personaggi politici democratici minacciati o di luoghi istituzionali democratici; canzoni “simbolo” in adunate pubbliche.
Perché si è scelta la nonviolenza
Tutto questo è avvenuto utilizzando metodi non armati e nonviolenti e anche stavolta non perché la popolazione fosse pronta e preparata a questo tipo di azioni, ma perché:
- vi erano leader consapevoli che portare lo scontro su un terreno armato avrebbe significato moltissimi morti e distruzioni con poco o nessun risultato (gli esempi di quello che era accaduto prima erano chiari a tutti);
- non erano pronti alla lotta armata, non avevano mezzi e non erano stati “imbottiti” di armi per pensare di poter vincere contro la repressione russa;
- molti dei loro leader avevano sviluppato una forte ed importante riflessione sulle opportunità offerte da mezzi non-violenti e dalla consapevolezza che operando con queste modalità non avrebbero offerto pretesti all’avversario, indirizzando verso i propri movimenti una parte della popolazione che non aveva assunto posizione per svariate ragioni, inclusa l’indifferenza e la paura;
- la capacità dei gruppi e dei comitati di darsi una “disciplina nonviolenta” capace di resistere alle provocazioni degli avversari e agli infiltrati, in grado di non far emergere quelle figure che invece avrebbero preferito una risposta più forte e violenta alla situazione in atto;
- la vicina Europa Occidentale, la politica internazionale e la politica interna di cambiamento della Russia con Michail Gorbaciov erano sicuramente elementi più favorevoli per l’azione di protesta nonviolenta e pacifica.
Conclusioni
Le lotte nonviolente non sono purtroppo “salvifiche”, ma richiedono comunque disponibilità al sacrificio e all’impegno più alto e anche in queste azioni sono morte persone, molte sono state ferite, incarcerate, torturate. Nessuno qui ha la pretesa di “santificare” la nonviolenza, ma dobbiamo riconoscere almeno che riduce notevolmente il tasso di violenza utilizzato nei conflitti e che potrebbe essere uno strumento almeno da provare. Se poi si predisponesse un serio programma di ricerca, preparazione, addestramento e coinvolgimento della popolazione forse potrebbe diventare anche una vera alternativa alla guerra e alla violenza.
Bisogna però volerlo.
Riferimenti bibliografici:
- Jelfs M., Tecniche di Animazione. Per la Coesione nel Gruppo e un’Azione Sociale Non-Violenta. Elledici, 2008 (ristampa);
- Lombardi A., Manuale di addestramento alla difesa popolare nonviolenta. Edizioni Dissesnsi, Viareggio (Lucca), 2014;
- La rivoluzione cantata, Estonia: https://singingrevolution.com/ ;
- Eglitis Olgerts, Nonviolent Action in the Liberation of Latvia, The Albert Einstein Institute, Cambridge MA, USA, 1993 – leggere l’appendice da pag. 52 a pag. 65- (non reperibile in italiano e questo è già un indicatore).