La corsa agli armamenti e l’instabilità globale

di Benedetta Cescon  – Nelle ultime settimane, diversi rappresentanti delle nazioni dell’UE hanno fatto annunci preoccupanti. Katarina Barley, la leader del Partito Socialdemocratico dell’SPD, che parteciperà alle elezioni europee, non esclude l’acquisto di armi nucleari da parte dell’UE. Ha infatti dichiarato che una bomba nucleare “potrebbe diventare un argomento di discussione per la formazione di un esercito europeo”. Precedentemente, Josef Fischer (Alleanza 90/Verdi), ex ministro degli Esteri tedesco, ha chiesto all’UE di avere “un proprio deterrente nucleare”. Mentre i principali media tedeschi tornano a parlare di una bomba tedesca, il presidente francese Emmanuel Macron avanza la possibilità di estendere l’“ombrello” atomico francese all’UE. Non è una novità che la Germania faccia rivendicazioni nucleari. Il governo tedesco ha presentato la proposta per la prima volta negli anni Cinquanta, ma non è riuscito a realizzarla. Dopo l’elezione di Donald Trump a Presidente degli Stati Uniti all’inizio di novembre 2016, è stata ampiamente espressa la richiesta di accesso a una bomba “europea” da parte di Berlino o addirittura di armi nucleari. I rappresentanti politici tedeschi all’epoca consigliarono a Berlino di “prendere in considerazione lo sviluppo di uno scudo nucleare europeo, basato sulle capacità francesi e britanniche”. Roderich Kiesewetter, allora portavoce per la politica di difesa del gruppo parlamentare della CDU/CSU al Bundestag, ha chiesto l’istituzione di un ombrello atomico dell’UE che dovrebbe essere finanziato dal bilancio militare dell’UE. Alcuni si sono persino spinti oltre, chiedendo che la Germania costruisse una bomba nucleare.

Inoltre, il Presidente francese Emmanuel Macron ha espresso ufficialmente la sua opinione sulla ripresa del dibattito. Infatti, ha affermato in un discorso tenuto a fine gennaio presso un’accademia militare di Stoccolma: “In questi giorni, i nostri interessi sono principalmente europei, il che ci spinge ad assumere una responsabilità particolare in merito alla deterrenza nucleare”. Macron si era già offerto anni fa di estendere l’ombrello atomico francese all’UE, ma ha richiesto una rigorosa garanzia della sovranità francese su tutte le operazioni delle forze armate, incluso il loro eventuale dispiegamento. Questo modello suggerisce che la Germania e altre nazioni possano intraprendere manovre nucleari solo in determinate situazioni. Le richieste di un riarmo nucleare dell’UE o della Germania sono anche accompagnate da appelli per un programma di riarmo convenzionale senza precedenti.

Il discorso di Ursula Von Der Leyen nella Plenaria di Strasburgo è stato più di un semplice avvertimento; è stata una vera chiamata alle armi contro il nemico, Vladimir Putin. Secondo il discorso di Von Der Leyen, una guerra in Europa non è imminente, ma non è impossibile. Gli Stati devono riconoscere che la pace non è permanente e la Presidente ritiene che l’Unione Europea dovrebbe aumentare gli investimenti in armi nei prossimi cinque anni, “deve esserci un semplice principio: l’Europa deve spendere di più, spendere meglio, spendere in modo europeo. Nelle prossime settimane presenteremo alcune proposte con la prima strategia industriale europea per la difesa. Uno degli obiettivi centrali sarà quello di dare priorità agli appalti congiunti nel settore della difesa. Proprio come abbiamo fatto con vaccini o con il gas naturale”. La leader di Palazzo Berlaymont ha affermato: “L’Europa dovrebbe sforzarsi di sviluppare e produrre la prossima generazione di capacità operative vincenti”, commentando i progressi raggiunti finora nel campo della Difesa. Oltre a garantire che disponga della quantità sufficiente di materiali e dell’innovazione tecnologica di cui potremmo aver bisogno in futuro, l’Unione europea è disposta a stanziare numerosi miliardi di euro per raggiungere questo obiettivo.

Anche l’Italia non è esclusa da questa corsa agli armamenti. La Commissione Difesa della Camera dei Deputati ha autorizzato l’acquisto di 132 carri armati Leopard 2 tedeschi per un valore complessivo di 8 miliardi e 246 milioni di euro. Il programma dovrebbe durare 14 anni, con i primi tre anni dedicati alla preparazione, allo sviluppo, alla produzione pre-serie e all’omologazione delle piattaforme. Successivamente, avverrà l’acquisizione reale di 132 carri armati, che saranno utilizzati per costruire due reggimenti carri e fino a 140 piattaforme corazzate. Il leader della Sinistra italiana, Nicola Fratoianni, afferma che è «una decisione immorale spendere 8 miliardi così e poi mancano i fondi in sanità, col governo che decide la proroga di 2 anni per sostituire oltre tremila apparecchi di diagnosi sanitaria». Nella stessa giornata, il Senato ha approvato un disegno di legge denominato “Nuove norme sul controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento”, che riguarda la produzione e l’esportazione di armi. Il disegno di legge ha lo scopo di apportare “alcuni aggiornamenti” alla legge per “rendere la normativa nazionale più rispondente alle sfide derivanti dall’evoluzione del contesto internazionale”, limitando l’applicazione dei divieti sulle esportazioni di armamenti, riducendo la quantità di informazioni fornite al parlamento e alla società civile e, soprattutto, eliminando tutta la documentazione relativa alle operazioni svolte dagli istituti. Con questo voto, il Comitato Interministeriale per gli Scambi di materiali di armamenti per la Difesa (CISD), presieduto dal presidente del Consiglio e composto dai ministri degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, dell’Interno, della Difesa, dell’Economia e delle Finanze e del Made in Italy, è stato ripristinato presso il Consiglio dei Ministri. In questo modo, il ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. Inoltre, sono state apportate modifiche significative alla tipologia di dati che la presidenza del Consiglio deve includere nella relazione che viene inoltrata alle Camere entro il 31 marzo di ogni anno e l’obbligo di riferimento in Parlamento sulle attività degli istituti di credito operanti nella Penisola in relazione all’export di armi è stato abrogato. In effetti, non conterranno più le informazioni necessarie agli analisti indipendenti per valutare gli affari dell’industria bellica e denunciare eventuali violazioni.

Gli storici militari fanno risalire il concetto di “Corsa agli armamenti” agli inizi del ’900, quando tre grandi potenze – Francia, Germania e Russia – sfidarono il dominio incontrastato dei mari dell’Impero britannico, dotandosi di potente flotte di navi da guerra. Londra reagì lanciando una nuova classe di corazzate, più veloci, armate e più potenti di quelle che erano già in servizio. La Germania creò una propria flotta di navi da guerra per evitare di essere superata, e lo stallo continuò mentre entrambe le parti costruivano navi sempre più grandi e letali per prevenire un attacco navale dell’altra. La Germania non riuscì a tenere il passo, aumentando la tensione tra i grandi imperi, fino ad arrivare alla Grande guerra del 1914-18. Il presidente degli Stati Uniti Woodrow Wilson, sconvolto dal massacro che era appena finito durante la Prima Guerra Mondiale, pronunciò il suo famoso discorso dei Quattordici Punti nel 1918. In questo discorso, Wilson propose di limitare gli armamenti e collocarli all’interno del diritto internazionale e della coesistenza pacifica tra le nazioni. La proposta di Wilson prevedeva condizioni molto più miti per la Germania, l’Austria e l’Ungheria rispetto a quelle imposte dal Trattato di Versailles. Successivamente, alla Conferenza Navale di Washington (1921-1922), gli Stati Uniti, La Gran Bretagna e il Giappone firmarono un trattato per limitare le armi, ma il Giappone non lo rinnovò a metà degli anni ’30 e la Germania violò il Trattato di Versailles e iniziò a ricostruire le sue forze armate. La comparazione dei due elementi più distruttivi della storia dell’umanità è diventata più massiccia durante le ultime fasi della Seconda guerra mondiale: i missili balistici di lunga gittata e, in particolare, le bombe nucleari. I primi furono sviluppati dalla Germania nazista con le V1 e V2 per colpire Londra; i secondi furono lanciati dagli Stati Uniti sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki nel 1945. L’ecatombe giapponese segnò la fine del conflitto mondiale. Ma l’eredità che lasciò fu, non appena anche l’Unione sovietica dispose della nuova arma, il cosiddetto “equilibrio del terrore”, che caratterizzò tutto il periodo della Guerra fredda fra i due blocchi: la consapevolezza che l’uso della bomba atomica da parte di uno di loro avrebbe portato a un’azione uguale e contraria, con la conseguente distruzione di entrambi, ha impedito che l’arma più devastante concepita venisse utilizzata nuovamente in guerra dopo Hiroshima e Nagasaki. Certamente ci sono stati anni senza guerre, e la corsa agli armamenti negli ultimi settanta anni non si è limitata agli arsenali nucleari. Tuttavia, questo settore, considerato essenziale per gli equilibri globali, ha costituito una parte significativa della spesa per la guerra e la competizione tra le potenze. Il presidente degli Stati Uniti George H.W. Bush ha diffuso l’idea che ridurre le spese per la difesa avrebbe stimolato l’economia alla fine della Guerra fredda. Per questo, gli Stati Uniti ridussero gli investimenti nella difesa dal 6% del loro PIL a circa il 3% in dieci anni, dal 1989 al 1999, dopo le sue affermazioni. Poco dopo sono arrivati gli attentati dell’11 settembre 2001 e le guerre in Afghanistan e in Iraq. Oggi, i paesi si stanno armando come mai prima d’ora a causa dell’invasione russa dell’Ucraina, del timore di una guerra tra Stati Uniti e Cina per Taiwan e delle tensioni causate dalle ambizioni nucleari dell’Iran. Secondo lo Stockholm international peace research institute (Sipri), la spesa militare globale è aumentata di quasi il 4% nel 2022, superando i duemila miliardi di dollari. I titoli delle aziende della difesa vanno meglio in borsa rispetto agli altri. Molte nazioni della Nato, in particolare la Germania, prevedono di raggiungere o superare l’obiettivo del 2% del PIL fissato dall’alleanza. Altri stanno aiutando. Entro il 2027, il Giappone vuole diventare il terzo paese al mondo in termini di spese militari aumentando il suo bilancio di due terzi. Dove ci porterà tutto questo? Cos’è per noi la sicurezza? Ci sentiamo veramente più sicuri se investiamo in armamenti, infrastrutture di difesa e militari? Oppure aumentano l’instabilità e la probabilità di una guerra? Oggi il termine sicurezza non indica solo quella fisica, non si definisce più solo come sicurezza di un territorio da aggressioni esterne o come sicurezza globale di fronte alla minaccia nucleare, timore giustificato dall’esasperata corsa agli armamenti degli anni precedenti. Ma racchiude anche altre sfere, la sicurezza politica, sociale, culturale, economica ed ambientale. Interessante è quello che, nel Gennaio 2001, l’allora segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan disse: “la sicurezza umana, nel suo significato più largo, abbraccia molto più che l’assenza di un conflitto violento. Comprende infatti i diritti umani, la good governance, l’accesso all’educazione e alla sanità e infine la garanzia che ogni individuo abbia le opportunità e le possibilità di scelta per esprimere il suo potenziale. Ogni passo in questa direzione è anche un passo verso la riduzione della povertà, lo sviluppo economico e la prevenzione dei conflitti. Libertà dal bisogno, libertà dalla paura e la libertà delle future generazioni di ereditare un ambiente naturale sano – questi sono gli elementi costitutivi di una sicurezza umana, e dunque nazionale”.

Condividi su Facebook

Articoli recenti:

Richiesta di ammissione a socio

Modulo da compilare in ogni sua parte.
Una volta inviato riceverete una mail con il modulo pronto
per essere firmato e reinviato (o consegnato direttamente).