Giornata mondiale contro le Mgf. Qualcosa può cambiare

Le mutilazioni genitali femminili (Mgf) sono delle pratiche tradizionali che vengono eseguite in vari paesi con finalità non terapeutiche, e possono ledere fortemente la salute psichica e fisica di bambine e donne che vi sono sottoposte. Il nome dato a questo tipo di pratiche è stato coniato durante la III Conferenza del Comitato inter-africano. Non è però in questo modo che vengono chiamate dalle popolazioni dei paesi in cui viene praticata, perché questi rifiutano la connotazione fortemente negativa del termine.

Ogni gruppo usa i termini tramandati dalla propria tradizione che variano molto da un’etnia o da una regione all’altra, a seconda anche di quale tipo di mutilazione si tratta. In generale, tutte le popolazioni in cui è diffuso questo tipo di intervento, preferiscono il termine “circoncisione”. Si tratta di un termine neutro che viene usato in maniera impropria per assimilare le mutilazioni dei genitali femminili alla circoncisione maschile in cui ci si limita a recidere solo la pelle senza provocare nessun effetto mutilante sul corpo maschile. Così, si sfumano le differenze radicali che vi sono tra i due tipi di operazione, con il risultato di occultare il carattere brutale che ha invece la maggioranza degli interventi sui genitali femminili e accreditarne un’immagine più familiare.

L’organizzazione mondiale della sanità ha provveduto alla classificazione di queste pratiche, suddividendole in quattro tipi. In ogni caso comunque sono tutti interventi che nella maggioranza dei casi vengono svolti senza anestesia da praticanti tradizionali, con un alto tasso di mortalità, complicazioni di qualsiasi genere e futuri disturbi psicologici per le donne che vi sono sottoposte.

Le Mgf hanno un’origine oscura e remota; alcuni le fanno risalire al tempo dei faraoni, altri all’antica Roma. Un’origine resa ancora più oscura dal silenzio che le ha sempre circondate e che ha contribuito a farne un argomento tabù per le genti africane, ma anche a proteggerle dalla curiosità indiscreta degli occidentali. Allo stato attuale comunque l’origine delle Mgf resta indeterminata. L’unica cosa certa è che non è stato l’Islam a introdurre in Africa le mutilazioni dei genitali femminili che erano già presenti in loco assai prima della sua diffusione. Si tratta infatti di usanze indigene profondamente radicate nelle società locali e preesistenti alla penetrazione dell’Islam nell’Africa sub sahariana e centro-orientale. L’attribuzione che spesso viene fatta all’Islam dell’origine delle mutilazioni dei genitali femminili in Africa è probabilmente dovuta alla facilità con cui si è saputo adattare al tessuto tradizionale conformandosi al modo di vita locale.

Quando, nella prima metà del ‘900, l’alone di mistero interno a queste pratiche cominciò a scomparire, la maggior parte delle donne interessate aveva molte remore a parlarne. È rimasta famosa la posizione assunta dalle donne africane alla Conferenza di Copenaghen del 1980 dove si sono sottratte alle pressioni delle femministe americane che insistevano per inserire la questione delle Mgf nella loro agenda politica respingendo tale iniziativa come una semplice manifestazione delle loro scelte politiche. Poi qualcosa è cambiato. Da qualche anno a questa parte, infatti, il silenzio ha lasciato il posto a una proliferazione di discorsi, che stanno trasformando le Mgf in una nuova questione sociale legata al rispetto dei diritti umani e alla salvaguardia della salute delle donne e delle bambine.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stimato che siano già state sottoposte alla pratica 130 milioni di donne nel mondo, e che 3 milioni di bambine siano a rischio ogni anno. Sono moltissime le associazioni schierate nettamente contro questa pratica e che ogni giorno conducono una lotta alla denuncia e alla sensibilizzazione. Aidos (Associazione italiana donne per lo Sviluppo) in occasione della Giornata mondiale contro l’infibulazione e le mutilazioni genitali femminili, ricorsa il 6 febbraio scorso, ha lanciato la campagna “One Voice” realizzato da giovani attivisti e attiviste provenienti dall’Africa e dall’Europa.

Accanto ad Aidos è vastissima la rete di associazioni che combatte continuamente contro questa forma di violenza, insieme ad esempio all’Unicef e alle Nazioni Unite. Negli ultimi anni poi si sono sviluppate moltissime realità di questo tipo direttamente nei Paesi interessati e afflitti da questo fenomeno. ActionAid in Etiopia, sta realizzando delle attività che mirano a sradicare questa pratica dalle comunità, come ad esempio: workshop di sensibilizzazione, organizzazione di Women Watch Groups (WWGs) composti da donne, giovani e leader religiosi; organizzazione di momenti di discussione comunitari; promozione di eventi per mettere al bando le mutilazioni genitali femminili.

Simili pratiche non sono più accettate; dopo anni di lotte e sensibilizzazione, in molti Paesi africani i governi stanno istituzionalizzando delle leggi atte a proibire e punire le Mgf, perché consapevoli della brutalità ingiustificata di queste violenze.

Carmen Sindona

 

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