Di Chiara Tammaro
Il progetto Twitezimbere è volto al rafforzamento della capacità di resilienza della popolazione dell’est del Burundi, nella provincia di Kirundo, e in particolare è volto a introdurre tecniche innovative di allevamento e protezione ambientale molto necessarie in questo territorio. Il progetto però, non riguarda solo il paese africano, ma anche l’Italia: consiste nello svolgimento in parallelo di attività di formazione e accompagnamento volte al miglioramento della qualità di vita dei locals in Burundi e di un programma di sensibilizzazione in Emilia-Romagna a proposito delle varie tematiche connesse.
Perché proprio il Burundi?
Il Burundi è uno dei paesi più poveri al mondo, ma anche il terzo paese africano e il sedicesimo al mondo per densità di popolazione, inoltre la maggioranza dei cittadini burundesi si dedica all’agricoltura di sussistenza. Purtroppo peró, per facilitare quest’ultima è stata emanata una legge nel 2021 che ha obbligato gli allevatori a tenere gli animali in condizioni poco igieniche e rispettose. Al contempo la stessa agricoltura è strettamente legata al problema della deforestazione, considerando anche che il legno è la principale fonte di calore e luce negli ambienti domestici di Kirundo.
Nell’incontro tenutosi il 30 marzo al Centro per la Pace di Forlì, evento inserito proprio nel quadro di questo progetto, Spazio 2030 ha introdotto il tema della transizione energetica, mettendo alla luce alcuni dati statistici riguardanti il mondo, l’Italia e il Burundi, iniziando quindi ad introdurre la situazione in quest’ultimo paese. I fatti che più hanno stupito i presenti e che più hanno fatto riflettere sono i seguenti:
- il 44% dei comuni italiani sono 100% elettrici (2020);
- “Solo” il 9% della popolazione mondiale (2020) non ha ancora accesso all’energia elettrica;
- l’88% della popolazione del Burundi non ha accesso all’energia elettrica (2020).
Quello che ne è risultato è che siamo generalmente pessimisti, molti infatti pensavano che i comuni italiani 100% elettrici fossero molti meno e che la popolazione mondiale a non avere accesso all’elettricità corrispondesse ad una percentuale molto più consistente; però la riflessione più importante derivata dalla scoperta di queste percentuali è stata che possiamo e dobbiamo fare molto di più: i comuni italiani ad essere 100% rinnovabili sono un numero così esiguo da non costituire nemmeno una percentuale rilevante e quel 9% di popolazione mondiale equivale comunque a 711.000.000 persone che non hanno accesso all’energia elettrica, che per il resto del mondo è un privilegio dato spesso per scontato.
Il progetto più nel dettaglio
Ad ogni modo, il progetto presentato da Sonia Santucci, Project Manager IBOITALIA, e Alessia Benizzi, rappresentante della Regione Emilia-Romagna, consiste nella collaborazione con i giovani, le famiglie burundesi e in particolare con le donne, al fine di formare queste persone in diversi ambiti, andando a rispondere anche ad alcuni obiettivi dell’Agenda 2030 stilata dall’ONU. A beneficiare del progetto sono stati 8 centri di servizio rurale, 800 famiglie di produttori agricoli ed allevatori, 80 autorità locali, 400 membri dei Centri di Servizi Rurali e 2400 abitanti delle due province.
Gli scopi del progetto Twitezimbere sono quindi quelli di portare avanti attività di riforestazione, di ridurre del 30% l’utilizzo di legname attraverso l’introduzione di tecniche di carbonizzazione migliorata e diffondendo l’utilizzo di Kit solari, incentivandone l’acquisto in collaborazione con istituti e associazioni per favorire l’accesso al credito delle famiglie interessate. Sono state poi messe in atto attività di sensibilizzazione su protezione ambientale e cambiamento climatico. In più, 127 donne sono state formate e accompagnate quotidianamente al fine di vendere i suddetti Kit, favorendo così la loro indipendenza economica e la micro-imprenditorialità femminile nel territorio.
Le comunità solari: cosa ha portato il professore Leonardo Setti a creare la prima piattaforma nazionale di autoconsumo collettivo?
La riflessione di Leonardo Setti, professore all’Università di Bologna nel dipartimento di Chimica Industriale, ha sicuramente fatto breccia in tutte le persone presenti: la sua esperienza personale, unita ai fatti concreti e abbastanza sconcertanti portati alla luce, ci hanno spinto a chiederci perché noi cittadini e i vari governi nel mondo non stiamo facendo abbastanza e cosa possiamo fare adesso. Sicuramente agire efficacemente e velocemente è più che necessario.
Il professore ha spiegato che le riserve accertate di petrolio, continuando al ritmo di consumo odierno, basteranno solo per altri 15 anni, dopodiché il petrolio non sarà più sufficiente alle necessità di tutti i paesi: Stati Uniti, Cina e Europa dovranno lottare per ottenerlo. Questo perché, oltre a non essere una fonte rinnovabile, che quindi prima o poi si esaurirà, ad accelerare il processo è il fatto che la Cina con i suoi crescenti 1,412 miliardi di abitanti, prima del 2000 non usava gas e petrolio, un po’ come molti territori meno sviluppati oggi: adesso invece il consumo della Cina sta raggiungendo i livelli degli Stati Uniti e ha già superato quelli europei. Al contempo Setti ha anche evidenziato un paradosso importante, ovvero mentre gli occidentali si preoccupano di accaparrarsi le ultime gocce di petrolio, probabilmente paesi come il Burundi o la Tanzania, dove lui ha visto coi suoi occhi la situazione, non riusciranno mai ad avere la possibilità di svilupparsi utilizzandolo come fonte principale. In effetti, in questi luoghi dove il PIL pro capite è molto più basso rispetto a quello dei paesi più avanzati, i costi, ad esempio, della benzina sono gli stessi riscontrati nel resto del mondo! Più probabilmente i paesi adesso meno sviluppati potranno fare progressi solamente attraverso l’energia rinnovabile.
Queste sono proprio le motivazioni che lo hanno portato a voler creare qualcosa di grande e necessario. Infatti, dopo aver aperto gli occhi ai presenti all’incontro al Centro per la Pace, e adesso forse anche alle persone che leggeranno questo articolo, ha presentato Il Centro per le Comunità Solari da lui fondato. In sintesi, si tratta di un centro con lo scopo di accelerare la transizione energetica attraverso città solari, cioè città tecnologicamente avanzate che rispettano l’ambiente e l’uomo. Una città solare dovrebbe coinvolgere le attività industriali in un patto sociale per una crescita economica più inclusiva e sostenibile e deve anche educare i propri abitanti ad esserlo.
Un futuro per le nuove generazioni
Nadine Finke, rappresentante di Parents For Future Forlì e Referente delle Comunità Solari di Forlì, ha invece dato l’input per una riflessione essenziale: genitori e adulti hanno la responsabilità di custodire la Terra, affinché sia un luogo sano dove le prossime generazioni possano avere un futuro. Per questo incontri come quello del 30 marzo al Centro per la Pace sono indispensabili: la sensibilizzazione dei cittadini e delle cittadine di età adulta è fondamentale per poter cambiare la società e renderla più sostenibile per l’ambiente. Allo stesso modo è però molto importante educare i più giovani e i più piccoli.
A tal proposito l’intervento di Martina Ravaioli, operatrice LVIA, è stato molto incoraggiante: avendo fatto vari incontri nelle scuole medie del territorio dell’Emilia-Romagna, ha riportato che gli studenti e le studentesse coinvolti sono entrati in contatto con le nozioni di disparità della ricchezza e di mortalità per mancanza di cibo, ne hanno capito la gravità e inconsciamente anche il privilegio di cui beneficiano, così poi si sono attivati nella ricerca di soluzioni molto creative, anche se, ovviamente, difficili da realizzare. Però sicuramente si è vista da parte loro grande voglia di migliorare la situazione e questa energia è proprio quello che ci serve per tentare di salvare il nostro futuro.