Trasversalità della violenza: un problema culturale

Articolo di Chiara Tammaro per #Speakup e il Centro per la Pace di Forlì

Il 18 novembre arrivava la conferma dell’ennesimo femminicidio, quello di Giulia Cecchettin, caso che ormai conosciamo bene. Abbiamo tutti e tutte sperato fino all’ultimo momento possibile che Giulia fosse ancora viva, così come, dopo la notizia del suo ritrovamento, abbiamo sperato che dal suo femminicidio la società potesse imparare qualcosa. In fondo, però, sapevamo già che non sarebbe stato così, ed effettivamente altre donne e ragazze purtroppo hanno perso la vita in dinamiche simili dopo di lei. Sicuramente le parole di Gino e Elena Cecchettin sono un inizio per svegliare le coscienze, ma da sole non bastano perché si tratta di un problema culturale e sistemico, che è quindi molto difficile da affrontare ed eradicare. La questione ancora più essenziale è che questo aspetto, la sistematicità, non è stato colto dalle istituzioni, dalla stampa e nemmeno da quelle persone che parlano ancora di esasperazione, raptus o troppa gelosia, o dagli uomini che ci tengono a sottolineare che non sono tutti così. O almeno, fanno finta di non averlo colto, distolgono lo sguardo e fingono siano tutte coincidenze.


È inaccettabile continuare a fare finta che non ci sia un problema, che questi casi siano solo eccezioni. C’è quindi un disperato bisogno di educazione sessuale ed emotiva nelle scuole, fin dai primi anni. Ai giovani dobbiamo parlare di consenso, di ciclo della violenza e di vittimizzazione secondaria (victim blaming), solo in questo modo le ragazze comprenderanno appieno quali sono i loro diritti e come riconoscere subito i pericoli che corrono, ma soprattutto i ragazzi apprenderanno che le donne non sono oggetti che si posseggono e che devono abbattere la mascolinità tossica, nonché acquisire la capacità di gestire le proprie emozioni, prima che tutte queste “piccole cose” sfocino in violenza. Devono essere quindi educati fin da subito al rispetto e al consenso. Non ci sono più scuse.


Per permettere tutto questo è però fondamentale che anche i giornalisti e le giornaliste facciano la loro parte, non alimentando una narrazione errata dei fatti, ma seguendo le linee guida del Manifesto di Venezia. Chi legge deve sapere che per istituzioni e società il colpevole è sempre chi agisce violenza e che in nessun modo le sue azioni sono giustificabili, non ci devono essere dubbi al riguardo.

E’ poi imprescindibile che gli uomini capiscano che si tratta di un problema anche maschile, perché si, sono le donne a morire, ma statisticamente il 92,7% di queste viene uccisa da un uomo (dati Istat). Devono necessariamente fare un percorso di consapevolezza, ammettendo che, sebbene loro personalmente non abbiano mai ucciso o stuprato, potrebbero essere parte del problema.

Ormai siamo ad un punto storico in cui non basta più limitarsi a non fare qualcosa di sbagliato, bisogna essere attivamente parte della soluzione. Perciò se non ne hanno mai parlato con gli amici, non hanno mai fermato altri uomini con comportamenti inopportuni, molesti, sessisti o violenti, allora non stanno dalla parte giusta. E se non sei parte della soluzione, che senso ha ripetere costantemente di non essere parte del problema? 

È indispensabile che se ne parli, perché seppur inconsciamente pensiamo che non capiterà a noi e che magari succede solo ad alcune tipologie di donne o ad alcune tipologie di famiglie, però in realtà quello della violenza di genere è un fenomeno trasversale. Questo ha tenuto a sottolineare Sandra Sicurella, professoressa di Teorie dei processi di vittimizzazione all’Università di Bologna, durante la conferenza di #SpeakUp tenutasi il 27 ottobre 2023 al Centro per la Pace di Forlì ed intitolata “Sfumature della violenza”. 

Ad esempio, prendendo in considerazione l’essere cittadina italiana o meno, secondo l’Istat (dati 2014) non ci sono molte differenze: le donne straniere hanno subìto violenza fisica o sessuale in misura simile alle italiane nel corso della vita (31,3% e 31,5%). A cambiare sono le tipologie di violenze subite, infatti la violenza fisica è più frequente fra le straniere (25,7% contro 19,6%), mentre quella sessuale più tra le italiane (21,5% contro 16,2%).

Per quanto riguarda l’età secondo l’ultima nota Istat sulle vittime di omicidio, l’età media delle donne vittime di omicidio è pari a 55,1 anni, con un rischio di essere uccise che aumenta col crescere e arriva a raggiungere un primo picco nella fascia 35-44, per poi diminuire leggermente e rimanere costante fino ai 65-74 anni, dopodichè aumenta nuovamente fino a raggiungere l’apice più alto nella fascia 85-941

Inoltre, nell’ultimo Report Annuale – Rilevazione Dati di Di.Re si legge che nella maggior parte dei casi le donne accolte nei centri antiviolenza non hanno alcun tipo di disagio e/o dipendenza. Secondo Di.Re anche un maltrattante su quattro, all’incirca, non ha alcun tipo di precedente o disagio e nel 41,4% dei casi ha un lavoro stabile, tenendo a mente che si ha una grande percentuale di dato “non rilevato”. Per cui, la violenza di genere si rileva non solo nelle famiglie o nelle relazioni con componenti in qualche modo in difficoltà.

Considerendo poi che nel mondo la violenza contro le donne interessa 1 donna su 3 e in Italia il 31,5% delle donne ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale, è chiaro che si tratti di un fenomeno che afflige una varietà ampia di donne e non una specifica categoria.

Questo perché è un problema culturale che si regge sulle colonne di una società da sempre patriarcale, prima in modo più evidente e adesso in modo più subdolo forse, ma che quindi affligge tutti e tutte noi, chi più chi meno. 

A dimostrazione di questa affermazione, se guardiamo al numero di omicidi volontari dal 1992 al 2020, noteremo che quelli degli uomini sono prevalenti, ma dall’inizio del suddetto periodo sono diminuiti drasticamente. Invece, quelli con vittime donne rimangono all’incirca costanti durante tutti questi anni. La differenza sta nel fatto che dal 1992 è stata combattuta in modo alquanto efficiente la criminalità organizzata e in generale sono diminuiti i crimini, da questo si evince quindi che gli uomini sono uccisi più spesso, ma per motivi non culturali, cioè motivi che si possono più facilmente controllare con una maggiore sicurezza nei luoghi pubblici e con leggi particolari. Al contrario, il solo lato giuridico fa fatica a contrastare le uccisioni volontarie di donne perché queste vengono uccise in quanto donne e all’interno delle proprie case nella maggior parte dei casi. Per questo è essenziale partire dall’educazione delle nuove generazioni, così che la loro società sia diversa dalla nostra, ma anche sensibilizzare i più grandi. Solo così si possono eradicare secoli di cultura basata su principi maschilisti. E sì, abbiamo fatto grandi progressi, ma non ci dobbiamo accontentare, anche perché come abbiamo visto in Iran, in Afghanistan, in Palestina, ma anche in paesi occidentali come la Polonia, l’Ungheria o gli Stati Uniti d’America, se oltre alle leggi non cambia anche la concezione culturale, i diritti delle donne decadono facilmente.

Ed è proprio perché qualsiasi donna potrebbe subire violenza e perché tutte le donne vivono in una società che non le rispetta a pieno in quanto donne, che è essenziale, in primis, affrontare un percorso individuale di consapevolezza, indipendentemente dal proprio genere, e poi condividere e diffondere la consapevolezza acquisita con gli altri e le altre. 

Se domani sono io, se domani tocca a me, distruggi tutto”, queste le parole di Cristina Torre Cáceres, un attivista peruviana, riprese dalla sorella di Giulia Cecchettin che ha chiesto di fare rumore in suo nome, perché il momento di stare in silenzio è finito, ora dobbiamo farci sentire. Ecco, anche solo parlarne con qualche amico/a o famigliare è un inizio per fare molto rumore. 
In particolare, ancora una volta l’invito a non ignorare la questione è rivolto ai ragazzi e agli uomini e si riassume nelle parole di Gino Checchetin: “Mi rivolgo agli uomini, noi per primi dovremmo essere agenti di cambiamento, parliamo agli altri maschi che conosciamo. Dovremmo essere attivamente coinvolti, ascoltando le donne e non girando la testa dinanzi ai segnali di violenza, anche lievi. La nostra azione è cruciale. Da questa violenza si esce sentendosi tutti coinvolti, anche quando ci si sente tutti assolti”.

  1. “Quest’ultimo aspetto può essere almeno parzialmente spiegato con la presenza di un elevato numero di donne che vengono uccise, in età molto avanzata, da persone loro legate,in genere i partner, con il fine dichiarato di porre fine a diverse tipologie di situazioni critiche. Va sottolineato, invece, che nessun uomo è stato ucciso dalle proprie compagne per questi motivi”. ↩︎

Fonti

  • Istat, “Le vittime di omicidio sono più numerose tra gli uomini giovani e le donne adulte o anziane” Report edizione 2022: Vittime di omicidio 2022
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