Satnam Singh: rifugiato con diritti?

di Camilla Fabbri, tirocinante del Centro Pace

“I rifugiati hanno bisogno di solidarietà globale e della possibilità di ricostruire le loro vite in modo dignitoso”.

Questa la dichiarazione del Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres il 20 giugno 2024, per la Giornata mondiale del rifugiato, quando appena un giorno prima si era consumato un evento terribile sul territorio italiano, uno dei tanti.

Il 19 giugno infatti, Satnam Singh, un giovane uomo di origini indiane, aveva perso la vita presso l’ospedale San Camillo di Roma dopo 2 giorni di agonia per via di un mancato soccorso sul lavoro.

Ma facciamo un passo indietro, diamo diritto di riconoscimento e identità a questo povero uomo, uno dei moltissimi braccianti stranieri sfruttati nelle nostre campagne italiane, in modo tale da non limitarci a raccontare solamente un fatto di cronaca, ma cercando di fare breccia nel cuore delle persone, affinché un fatto del genere non accada più.

Satnam Singh, soprannominato Navi, era giunto in Italia direttamente dall’India tre anni fa al fianco della moglie Alisha detta Sony. Entrambi trovarono lavoro presso l’azienda agricola Lovato a Borgo Santa Maria in provincia di Latina, dove restarono per due anni senza un regolare contratto pagati 4/5 euro l’ora. Tutti li ricordano come una coppia unita, molto affiatata, tanto che se lei stava male lui restava a casa preferendo perdere una giornata di lavoro piuttosto che lasciare sola la moglie. Non avevano niente se non loro stessi e il loro amore. Vivevano nella zona di Castelverde a Cisterna e quell’agghiacciante lunedì pomeriggio erano proprio assieme. Il 17 giugno Satnam Singh fu gravemente ferito da un macchinario avvolgiplastica a rullo trainato da un trattore, che gli amputò un braccio e procurò altre lesioni, ma invece di essere soccorso venne scaricato davanti a casa, col suo braccio moncato dentro una cassetta degli ortaggi, dinnanzi alla povera e disperata moglie.

“Se ne hanno l’opportunità, i rifugiati danno un contributo significativo alle comunità che li ospitano, ma hanno bisogno di accedere a pari opportunità e a posti di lavoro, alloggi e assistenza sanitaria”.

Propriamente così continuò il discorso del Segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres, propriamente così questo non successe con Satnam Singh.

“Ho visto l’incidente, ho implorato il padrone di portarlo in ospedale, ma lui doveva salvare la sua azienda agricola. Ha messo davanti a tutto la sua azienda agricola. Il padrone ha preso i nostri telefoni per evitare che si venisse a sapere delle condizioni in cui lavoriamo. Poi ci ha messo sul furgone togliendoci la possibilità anche di chiamare i soccorsi.”

Tali sono le parole, riportate sul quotidiano La Repubblica, della moglie Alisha, una donna oramai rimasta sola in un Paese in cui aveva la speranza di trovare la felicità e costruire un futuro con il proprio marito, un Paese in cui invece proprio l’amato marito è stato trattato come un rifiuto.

Difatti il datore di lavoro si è preoccupato esclusivamente di ripulire ogni traccia di sangue dal furgoncino dicendo:

“Quel lavoratore si è messo dove non doveva stare. Non aveva l’autorizzazione a utilizzare la macchina avvolgiplastica”.

 

Allora dinnanzi a ciò chiediamoci apertamente se è giusto tutto questo, se è giusto perdere la vita in questo modo. La comunità indiana ovviamente non resterà in silenzio e il 25 giugno si terrà una manifestazione per Satnam e per i diritti dei lavoratori agricoli a Latina, nella speranza che tragedie come queste non accadano mai più.

 

FONTI:

https://integrazionemigranti.gov.it/it-it/Ricerca-news/Dettaglio-news/id/3854/Giornata-Mondiale-del-Rifugiato-Onu-Responsabilita-collettiva-del-mondo-

 

https://www.latinatoday.it/cronaca/satnam-singh-chi-era-bracciante-morto.html

 

https://www.open.online/2024/06/20/satnam-singh-bracciante-latina-braccio-tranciato-chi-era/

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