Progetto di fattibilità per l’istituzione dei Corpi Civili di Pace Europei

Premessa – Con la caduta del muro di Berlino nel 1989 e il disfacimento del “Patto di Varsavia” viene meno lo scontro tra blocchi contrapposti, ma si evidenzia una realtà fatta di conflitti regionali che, per continenti come l’Africa, hanno carattere endemico.[1]

In questo contesto, i conflitti interni agli stati aumentano in modo significativo e portano alla progressiva disintegrazione delle identità statali. I civili divengono target delle operazioni. Anche gli operatori umanitari e civili divengono obiettivi militari.

Il mutato scenario internazionale è stato ulteriormente complicato dopo l’11 settembre 2001 dall’apparizione sulla scena mondiale del terrorismo e da un clima di paura irrazionale artificialmente alimentata che ha favorito il moltiplicarsi delle cosiddette “nuove guerre” e quindi il diffondersi di quelle che, in gergo umanitario, sono ben descritte con il termine di “emergenze complesse”.[2]

Con quest’ultimo concetto si vuole descrivere una crisi in un paese, regione o società dove vi è un crollo totale o comunque considerevole dell’autorità centrale, come conseguenza di un conflitto interno e/o internazionale. Alcuni esempi possono essere visti nella situazione dell’Afghanistan, dell’Iraq, del Sud Sudan, della Repubblica Centrafricana, della Repubblica Democratica del Congo e dello Yemen.

Dopo il 24 febbraio 2022, con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, lo scenario anche a livello europeo è notevolmente peggiorato e sembra che l’unica risposta possibile sia quella di affidarsi alle armi e alla risposta armata.

Abbiamo bisogno di una risposta che vada oltre il mandato di capacità di una singola agenzia e/o programma nazionale o delle Nazioni Unite. Queste emergenze sono spesso aggravate da congiunture economiche sfavorevoli, povertà radicate, crescite demografiche incontrollate, calamità naturali.

Di fronte alla complessità delle “nuove guerre”, anche le risposte e contro-strategie di intervento della comunità internazionale non possono che divenire più articolate, multidimensionali, complesse.

In una visione integrata della società che prevede, allo stesso tempo, pace e giustizia sociale, sicurezza e buon governo, la sfida più importante per la comunità internazionale è – accanto alla pacificazione intesa come fine delle ostilità aperte – ricostruire stabili entità politiche come presupposto indispensabile alla creazione di paci durevoli.

La riflessione nonviolenta è giunta a definire una nuova modalità di intervento, sempre basata su metodologie nonviolente, che è centrata sull’intervento preventivo, di interposizione e post-conflitto attraverso forme di strategia di azioni non armate organizzate da Ong (Organizzazioni Non Governative) ed altre modalità, che cercano un progressivo coordinamento e già realizzano prassi di cooperazione fra loro e con le agenzie dell’ONU.[3]

La tesi che si intende sviluppare è che la creazione dei Corpi Civili di Pace Europei (CCPE) può essere una possibile risposta a questo contesto.

  1. I Corpi Civili di Pace Europei come segno di discontinuità

Due aspetti possono essere come premessa essenziale all’intero sviluppo del percorso.

In primo luogo, la nonviolenza non rifiuta il conflitto, non lo nega e non lo vuole nascondere. Anche perché le dinamiche conflittuali sono spesso legate a dinamiche di crescita, di sviluppo di miglioramento, comunque sia di non omologazione all’esistente al “già visto”.

La nonviolenza si propone di affrontare il conflitto con una filosofia diversa e con altri mezzi. La filosofia è quella del <tu vinci – io vinco>[4], i mezzi coerenti a tale filosofia sono quelli che non prevedono l’annullamento dell’altro e l’umiliazione della sua dignità.

In secondo luogo, l’autorità politica, in particolar modo la funzione di politica estera, deve mantenere il pieno controllo delle operazioni militari ed essere il garante del rispetto del diritto internazionale. Lo strumento militare, infatti, non è un potere aggiunto, ma un mezzo a disposizione della politica per perseguire i suoi fini, comunque e sempre nel rispetto pieno del diritto internazionale. L’autorità politica deve inoltre favorire missioni di pace direttamente gestite dai Corpi Civili di Pace in collaborazione con organizzazioni non governative, gruppi di volontariato, enti locali.

L’istituzione del CCPE è un forte segnale di innovazione e di discontinuità rispetto ad un sistema di politica estera e internazionale che si ispirano a concezioni di “pace negativa”[5] (“si vis pacem para bellum”).

La scelta che si esprime è invece di “pace positiva” (”si vis pacem para pacem”), per contribuire alla costruzione di “un ordine sociale e internazionale in cui tutti i diritti e le libertà fondamentali possono essere pienamente realizzati”: è l’ordine mondiale che l’Articolo 28 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (1948) proclama come diritto di “ogni persona” e al cui fondamento la stessa Dichiarazione pone “il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, eguali e inalienabili”.

Antonio Papisca[6] segnala come dal 1945, con la Carta delle Nazioni Unite, la Dichiarazione Universale del 1948 e le due Convenzioni giuridiche internazionali del 1966 rispettivamente sui diritti civili e politici e sui diritti economici, sociali e culturali, ha preso corpo organico un ‘capitolo’ di Diritto internazionale che ha carattere fortemente innovativo rispetto al preesistente Diritto internazionale degli stati nazionali-sovrani-armati-confinari, assunti quali soggetti unici ed esclusivi dell’ordinamento giuridico.

Egli aggiunge, inoltre, che il ‘nuovo’ Diritto internazionale ha come suo fondamento la dignità umana, con la conseguenza che la sovranità degli stati assume carattere strumentale in ordine al perseguimento degli obiettivi riassumibili nella formula “tutti i diritti umani per tutti”: diritti civili, politici, economici, sociali, culturali, alla pace, allo sviluppo, all’ambiente. In questo orizzonte, la persona umana è soggetto ‘originario’ di diritto internazionale, gli stati sono soggetti giuridici ‘derivati’.

La centralità della persona è il principio attorno al quale ruota la filosofia dello “human development”, come concetto multidimensionale i cui indicatori sono sia di carattere economico sia di carattere politico, sociale, e ambientale.[7]

Sulla scia dello “sviluppo umano” è venuta elaborandosi la filosofia della “human security”, anche questa intesa in senso multidimensionale, di cui il fattore militare (e di ‘ordine pubblico’) è solo una delle componenti. insieme con quelle economiche, politiche, sociali e ambientali. Il modello di riferimento è quello dei diritti umani, cioè del binomio vita-pace e la libertà dal bisogno e dalla paura sono due parti inscindibili e interdipendenti di tutti i diritti umani. La messa al bando della guerra, intesa quale uso della violenza di stati contro stati per la distruzione, totale o parziale, dello stato “nemico” costituisce un divieto che dovrebbe essere vincolante per tutti. Il primo comma dell’articolo 20 del Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966 esplicita chiaramente questo divieto: “Qualsiasi propaganda a favore della guerra deve essere vietata dalla legge”.

La Carta delle Nazioni Unite oltre a sancire il ripudio della guerra, come è noto, fa divieto agli stati di usare la forza per la risoluzione delle controversie, con l’eccezione, rigorosamente circoscritta e circostanziata, della “autotutela” successiva ad attacco armato di stato contro stato (Art. 51 della Carta). Insieme con il divieto, la Carta impone agli stati l’obbligo di perseguire vie pacifiche per prevenire e risolvere i conflitti. C’è dunque un rinvio generale alla dimensione politica e, dentro questa, al “civile” – soggetti, procedure, strumenti – quale via maestra di gestione delle controversie. Il “diritto alla pace” è delle persone umane e dei popoli e costituisce per gli  stati un preciso dovere. Fanno parte di questo dovere il disarmo e il conferimento all’ONU, una volta per tutte, di forze armate nazionali allo scopo di mettere la massima Organizzazione mondiale nella condizione di gestire con efficacia il sistema di sicurezza collettiva previsto dalla Carta.

  1. La sicurezza collettiva prevista dall’ONU non basta

L’uso della forza, anche militare, per obiettivi che non possono mai essere di guerra ma di ‘polizia’ (salvaguardia della vita delle popolazioni, interposizione fra i contendenti, protezione delle infrastrutture produttive e del territorio, cattura dei presunti criminali, ecc.), è infatti devoluto alla competenza e autorità “sopranazionale” delle Nazioni Unite e, subordinatamente e dietro espressa autorizzazione dell’ONU, ad altre organizzazioni internazionali regionali. Perché l’ONU possa agire in via coercitiva secondo quanto previsto dall’Articolo 42 della Carta, occorre che essa disponga della forza di polizia militare permanente prevista dall’Articolo 43. Nessuno stato ha finora adempiuto agli obblighi derivanti da questo Articolo: la prassi del peace-keeping è un surrogato, inadeguato e precario, di quanto disposto dalla Carta per la sicurezza collettiva.

Il diritto di veto però dà ai cinque stati che sono membri permanenti del Consiglio di Sicurezza la possibilità di collocarsi “al di sopra” della Carta delle Nazioni Unite. La conseguenza di questo stato di cose è che, per responsabilità degli stati, il sistema di sicurezza collettiva delle Nazioni Unite non funziona. Da ciò ne conseguono una serie di distorsioni, a partire da un maggior riarmo generalizzato, che alla fine forzando il significato degli articoli della Carta finiscono per permettere possibili interventi armati con o senza l’ONU.

  1. I Corpi Civili di Pace Europei (CCPE): lo stato attuale

L’istituzione dei Corpi Civili di Pace Europei assumerebbe il significato di una chiara inversione di tendenza. Numerosi e stringenti sono gli argomenti che spingono a procedere con la massima urgenza su questa strada. L’uso della forza militare, al di là dei limiti posti dalla Carta delle Nazioni Unite, oltre che illegale è inefficace anche in base a mero calcolo costi-benefici. Non risolve i conflitti, uccide popolazioni inermi, distrugge infrastrutture essenziali, inquina territori e mari, alimenta la conflittualità inter-etnica e inter-religiosa, provoca effetti di estesa destabilizzazione, alimenta la corsa al riarmo, favorisce interessi e speculazioni di natura economica, finanziaria, tecnologica che contrastano con “tutti i diritti umani per tutti”.

Già nel 2007 Papisca affermava che non era più tempo “per un ‘militare’ concepito e addestrato a fare la guerra, cioè per distruggere il nemico” (Papisca 2007: 90)[8].

La politica deve far funzionare il sistema di sicurezza collettiva delle Nazioni Unite, valorizzare il “civile” in attività di “sicurezza umana”, riconvertire il “militare” per l’esercizio di funzioni coercitive congrue con i principi e gli obiettivi della “sicurezza umana”.

L’aggancio alla Carta delle Nazioni Unite e all’intero Diritto internazionale dei diritti umani è pertanto fondamentale per qualsiasi iniziativa che miri a prevenire i conflitti, a limitare l’impiego del militare, a favorire la messa in opera di attività di mediazione e di dialogo, a dare più spazio alla operatività del ‘civile’ oltre che nei contesti della cooperazione allo sviluppo, anche in specifici contesti di “crisi”.

Nel sistema dell’Unione Europea, per iniziativa del Parlamento Europeo, fin dal 1995 si sta discutendo in merito alla creazione di un “Corpo Civile di Pace Europeo”: disponiamo della Raccomandazione del PE “sull’istituzione di un CCPE” del 10 febbraio 1999, della Risoluzione del PE sulla Comunicazione della Commissione riguardante la prevenzione dei conflitti del 13 dicembre 2001, dove si sottolinea “la necessità di istituire tale CCPE nel quadro del ‘Meccanismo di  reazione rapida’ della Commissione, nonché di due Studi di fattibilità: “On the European Civil Peace Corps”, a cura di Catriona Gourlay, gennaio 2004, commissionato dal PE, e “Feasibility Study on the Establishment of a European Civil Peace Corps (ECPC), a cura di P.Robert, K.Vilby, L.Aiolfi, R.Otto, del novembre 2005, commissionato dalla Commissione Europea.

Si parla di “partenariato UE-Nazioni Unite”, di “dialogo sui diritti umani”, di “dialogo interculturale”, di ‘missioni per la sicurezza umana’ al cui interno particolare rilievo viene dato appunto alla componente ‘civile’. Alle Nazioni Unite c’è attenzione per i “White Helmets”, per l’esercizio di ruoli in contesti che sono di cooperazione allo sviluppo e di classico “humanitarian aid” più che di prevenzione e risoluzione dei conflitti caratterizzanti il mandato dei Corpi Civili di Pace. Il termine “White Helmets” è stato impiegato per la prima volta dal Governo Argentino nel 1993 quando l’allora Presidente Menem decise di istituire una “Commissione per i White Helmets” allo scopo di selezionare personale civile argentino da impiegare nei settori dell’assistenza umanitaria e dello sviluppo. A seguito di questa iniziativa, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato la Risoluzione 49/139/B del 20 dicembre 1994, con la quale dava il benvenuto a iniziative nazionali volte alla istituzione di corpi volontari denominati “White Helmets” da impiegare a livello nazionale nella prevenzione delle emergenze umanitarie e a livello internazionale a supporto delle operazioni di assistenza umanitaria dell’ONU e delle sue Agenzie specializzate. A quella prima Risoluzione ne seguirono altre a cadenza biennale col titolo “Participation of volunteers, “White Helmets”, in the activities of the United Nations in the field of  humanitarian relief, rehabilitation and technical  cooperation for development” (Risoluzioni 50/19 del 28 novembre 1995, 52/171 del 16 dicembre 1997, 54/98 del 8 dicembre 1999, 56/102 del 14 dicembre 2001, 58/118 del 17 dicembre 2003). Si segnalano anche tre Rapporti del Segretario generale delle Nazioni Unite (Doc. A/54/217, 13 agosto 1999, Doc. A/56/308, 21 agosto 2001, Doc. A/58/320, 27 agosto 2003). Esperienze sono state realizzate in Haiti, Armenia, Palestina, Jamaica, Bolivia, Guinea Equatoriale, Angola, Rwanda.

Le esperienze europee riguardanti l’impiego del civile nelle situazioni di crisi sono numerose. Si tratta di iniziative ‘volontarie’ che, nella maggior parte dei casi, non hanno esplicita copertura istituzionale da parte degli stati. Non mancano tuttavia esempi di tale copertura, in particolare da parte di taluni stati europei.

Di rilievo è anche il dato costituito dalle Università che, anche in Italia, attivano corsi di laurea e masters in materia di pace, diritti umani, cooperazione allo sviluppo, risoluzione nonviolenta dei conflitti. Nel 2024 è nato il primo percorso nazionale per un dottorato promosso dalla Rete delle Università italiane per la Pace denominata “Runipace” e l’Università “La Sapienza” di Roma. Dagli studi di fattibilità già svolti, da queste esperienze ed esempi si può partire per creare i CCPE. Si tratta di riconoscerli istituzionalmente, di dotarli di adeguate risorse finanziarie e umane. Oltre a promuovere studio, ricerca e formazione che sono preliminari e conseguenti a qualsiasi intervento sul terreno dei conflitti.

  1. I Corpi Civili di Pace Europei (CCPE): obiettivi del progetto

L’obiettivo generale è verificare l’applicabilità dei CCPE per gestire, trasformare, risolvere i conflitti.

E’ necessario sviluppare un lavoro di ricerca documentale e fondato su casi accaduti, prendendo come riferimento temporale il periodo dalla caduta del Muro di Berlino fino ad ora.

L’approccio deve essere quello di fornire un percorso “scientifico” per permettere ai mondi accademici di continuare la ricerca e ai decisori politici di avere uno strumento in più di valutazione delle possibili opzioni per la gestione di conflitti che possono degenerare in violenza e guerra.

Gli obiettivi specifici sono i seguenti quattro:

– dimostrare che vi sono stati esempi di interposizione nonviolenta nei conflitti che hanno frenato l’asprezza del conflitto, creato momenti di dialogo e confronto e, talvolta, portato a soluzioni stabili e pacifiche;

– che l’Unione Europea ha le condizioni per poter far propri questi esempi e per dotarli di organicità politica e strutturale. Ovviamente bisognerà studiare anche la struttura dell’UE e delle politiche estere e di difesa, soprattutto alla luce di questo ultimo biennio;

– che vi è un dibattito, in molti ambiti della società civile (meno in quella politica), che va in questa direzione e che probabilmente gli interessi di alcuni grandi Paesi e del complesso militar-industriale tende a frenare;

– che questa è una strada ricca di potenzialità e con minori “costi” complessivi per tutti e che, quindi, si deve provare.

  1. Struttura teorica e metodologia

Si fa riferimento alla letteratura sulla nonviolenza che parte dall’approccio gandhiano sulla <Aderenza alla verità -satyagraha-> e il <Non fare del male agli altri -ahimsa-> per giungere, almeno in occidente, a studiare gli elementi che portano al mantenimento del potere (vedi l’apporto di Gene Sharp e di Johan Galtung).

Un altro riferimento fondamentale è tratto dalla teoria sulla praticabilità della Difesa Popolare Nonviolenta (DPN) nonché dallo studio operato sulla DPN anche da governi come quello olandese, o da gruppi di una certa rilevanza nazionale come il Canberra Peace Center[9], si deve trarre spunto anche dalle ricerche che hanno trovato, all’interno di conflitti armati, molti esempi di difesa non armata e nonviolenta anche nei molteplici accadimenti legati alla caduta dei regimi dell’Est.[10]

Il progetto comprende lo studio dettagliato e l’analisi delle teorie summenzionate. Sarà necessario anche svolgere una ricognizione della letteratura esistente e dei documenti ufficiali incluso la sperimentazione italiana sui CCP attuata tramite l’emendamento dell’allora onorevole Giulio Marcon approvato con la Legge di Bilancio nr.147 del 27 dicembre 2013, la campagna nazionale per la difesa non armata e nonviolenta intitolata “Un’altra difesa è possibile”, la sentenza della Corte Costituzionale nr. 119/2015 che conferma la possibilità di una difesa alternativa a quella armata e la recente legge di istituzione dei Corpi Civili di Pace della Repubblica di San Marino (Legge 2 dicembre 2021 nr. 194).

Il progetto poi deve prevedere alcuni studi sul campo analizzando gli interventi nella ex-Jugoslavia organizzati dai <Beati i Costruttori di Pace> nel dicembre 1992 – Marcia dei 500 a Sarajevo – e nell’agosto 1993 – Mir Sada -; la liberazione della Lettonia all’interno della cosiddetta “rivoluzione cantata” delle Repubbliche Baltiche nel 1989-1993.

Per la ricognizione della documentazione ufficiale oltre a San Marino sarà necessario recarsi a Strasburgo (Francia) e a Bruxelles (Belgio).

Le principali fonti saranno le stesse associazioni e/o gruppi, le autorità (diplomatiche, locali, ecc.) e le persone direttamente coinvolte e ovviamente, se possibile, i soggetti che hanno assistito alle iniziative nonviolente. Inoltre bisognerà analizzerà il dibattito in corso su questo argomento, sia a livello accademico che di carattere generale. Tutto quanto summenzionato per giungere a predisporre un progetto credibile, forte ed innovativo in grado di contrastare la “vulgata” odierna che racconta che solamente gli eserciti e le armi sono in grado di affrontare i conflitti violenti.

di Raffaele Barbiero, per Associazione Centro per la Pace Forlì-APS

Forlì, 17.07.2024

Bibliografia

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Associazione “Beati i Costruttori di Pace” (a cura di), Passo…Passo… Anch’io a Sarajevo, Editore Messaggero di Padova, Padova 1993;

 Barbiero Raffaele, Resistenza nonviolenta a Forlì, Ed. La Meridiana, Molfetta (Bari) 1992, seconda edizione con Edizioni Risguardi, Forlì 2015 (Carta Canta soc.coop.);

 Capitini Aldo, Le Tecniche della Nonviolenza, Edizioni dell’Asino, Roma, 2009;

 Carlotta Bellini, Mascia Matteo, Spinnato Marco, Casco bianco. Difensore dei diritti umani, Ed. Associazione Diritti Umani-Sviluppo Umano e Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, Venezia, 2006;

 Casadei Thomas, Il rovescio dei diritti umani. Razza, discriminazione, schiavitù, Ed. DeriveApprodi, Roma, 2016;

 Costa Paolo, Il diritto di avere diritti, Ed. Libri Scheiwiller, Milano 2004;

 Chenoweth Erica, Come risolvere i conflitti. Senza armi e senza odio con la resistenza civile, Edizioni Sonda, Torino 2023; reifelds Juris, Latvia in Transition. Brock University, Ontario Canada, Publisher: Cambridge University Press, 1996, pp 52-110;

 Donati Massimo, Difesa armata o difesa popolare nonvioplenta?, Ed. Homeless Book, Faenza (RA), 2022;

 Ebert Theodor, La difesa popolare nonviolenta, EGA-Edizioni Gruppo Abele, Torino, 1984;

 Euli Enrico, Forlani Marco (a cura di), Guida all’Azione Diretta Nonviolenta. Da Comiso a Genova e Otre: Come ci si Prepara alla Protesta, Editrice Berti, Altreconomia, Piacenza, 2022;

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 Lombardi Antonio, Manuale di addestramento alla difesa popolare nonviolenta, Edizioni Dissesnsi, Viareggio (Lucca), 2014;

 Marzorati Marzio e Valpiana Mao (a cura di), Alexander Langer, Edizioni Interno4, Bologna, 2019;

 Olgerts Eglitis, Nonviolent Action in the Liberation of Latvia, The Albert Einstein Institute, Cambridge MA, USA, 1993 – leggere l’appendice da pag. 52 a pag. 65- edizione in italiano intitolata Azione Nonviolenta nella Liberazione della Lettonia. I Quaderni della DPN nr. 27, ed. La Meridiana, Molfetta (Bari), 1994;

Rete di Formazione alla Nonviolenza R.F.N.(a cura di), Anch’io a Sarajevo..! L’intervento Formativo della R.F.N., ed. Satyagraha, Torino 1995;

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 Sharp Gene-Jamila Raqib, Liberatevi! Azioni e strategie per sconfiggere le dittature, Editore add, Torino, 2011;

 Sharp Gene, Waging Nonviolent Struggle, Publisher: Porter Sargent Publishers Inc. Boston USA; 2005;

 Sharp Gene, Politica dell’azione nonviolenta, vol I (Potere e lotta), II (Le tecniche) e III (La dinamica), EGA-Edizioni Gruppo Abele, Torino, 1989;

 Sharp Gene, Verso un’Europa inconquistabile, Edizioni Gruppo Abele, Torino, 1989;

 Skodvin Magne, Resistenza Nonviolenta in Norvegia sotto l’Occupazione Tedesca, Edizioni del Movimento Nonviolento, Perugia, 1979;

 Stefani Gino (a cura di), La difesa popolare nonviolenta in Italia e nelle crisi internazionali. Terzo convegno di ricerca sulla Difesa Popolare Nonviolenta, Bologna 2-3 novembre 1991, Thema Editore, Bologna, 1992;

 Tosolini Aluisi, Diritti dell’Uomo-Diritti dei popoli tra libertà e solidarietà, Ed. I.S.M.E., Parma, 1985;

 Tribunale Permanente dei Popoli, Diritti dei popoli e disuguaglianze globali, Ed. Altreconomia, Milano, 2020;

 Tusty James e Tusty Maureen Castle, The Singing Revolution.La rivoluzione cantata, Estonia 2006: https://singingrevolution.com/ [7 luglio 2024];

 Walker C. Charles, Movimento Nonviolento (a cura di). Manuale per l’Azione Diretta Nonviolenta, Edizioni del Movimento Nonviolento, Perugia, 1982;

 War Resisters’ International (WRI), Handbook for Nonviolent Campaigns, Published by War Resisters’ International, London, 2009 [I ed. 2009].

 

[1]    Amnesty International, Rapporto 2023-2024. La situazione dei diritti umani nel mondo. Sezione Africa Subsahariana, Edizioni Infinito, Formigine (Modena) 2024;  Cfr., anche, De Georgio Andrea, Sahel-Francia, prove di divorzio. Raffica di golpe. Nuovi scenari geopolitici, in “Nigrizia”, n.3, 2022, pp. 22-25.

[2]    Bellanca Nicolò, Le emergenze umanitarie complesse, Firenze University Press, Firenze, 2005.

[3]             Del Turco Luisa, Peacekeeping, istruzioni per l’uso, inAzione Nonviolenta”, nr. 588, 2012, pp.10-11. L’intero numero della rivista Azione Nonviolenta è dedicato a questo tema ed intitolato: “Interventi e corpi civili di pace”.

[4]             Liss K. Jerome, La Comunicazione Ecologica. Manuale per la Gestione dei Gruppi di Cambiamento Sociale, Edizioni La Meridiana, Molfetta (Bari), 2016, Patfoort Pat, Costruire la nonviolenza. Per una pedagogia dei conflitti, Edizioni La Meridiana, Molfetta (Bari), 1992, Galtung Johan, Affrontare il conflitto. Trascendere e trasformare, Pisa University Press, Pisa 2014.

 

[5]    Galtung Johan, Pace positiva: che cos’è? Disponibile dal sito: <https://serenoregis.org/2015/01/09/pace-positiva-che-cose-johan-galtung/ > [07 luglio 2024];

Galtung Johan, “Violence, Peace and Peace Research”, inJournal of Peace Research”, Vol.6, nr. 3, 1969, pp.167-191.

[6]    Papisca Antonio, “Riflessione preliminare ad un progetto di fattibilità per l’istituzione del Corpo Civili di Pace (Servizio Civile di Pace) in Italia. Il primato dei diritti umani, della nonviolenza e della politica per la prevenzione e la risoluzione dei conflitti”, in “Pace diritti umani-Peace Human Rights”, nr. 2, maggio-agosto 2007, pp.83-98.

[7]    Istat, Rapporto BES 2023, Ebook, Istituto Nazionale di Statistica, Roma, 2024, United Nations Development Programme, Human Development Report 2023/2024. Breaking the gridlock. UNDP, New York (USA), 2024.

[8]             Papisca Antonio, “Riflessione preliminare ad un progetto di fattibilità per l’istituzione del Corpo Civili di Pace (Servizio Civile di Pace) in Italia. Il primato dei diritti umani, della nonviolenza e della politica per la prevenzione e la risoluzione dei conflitti”, in “Pace diritti umani-Peace Human Rights”, nr. 2, maggio-agosto 2007, pp.83-98, p.90.

[9]        Canberra Peace Center (a cura di), Un modello di difesa popolare nonviolenta, Editore La Meridiana, Molfetta (Bari), 1987.

[10]  Drago Antonino, Le rivoluzioni nonviolente dell’ultimo secolo. I fatti e le interpretazioni, Edizioni Nuova Cultura, Roma, 2010, Boato Michele, Nonviolenza in azione. Iniziative e protagonisti, Edizioni Libri di Gaia, Ecoistituto del Veneto Alex Langer, Mestre (VE), 2022.

 

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