Idy Diene aveva 54 anni ed era nato in Senegal, viveva in Italia da ormai diciassette anni ed amava il Paese che lo aveva accolto. Idy Diene è stato ucciso lo scorso 5 marzo, da un uomo che tuttora si rifiuta di ammettere che il suo sia stato un atto razzista.
Abbiamo poche informazioni su Idy Diene: era originario di Morola, una cittadina a settanta chilometri da Dakar, in Senegal. Era arrivato in Italia nel 2001 in aereo con un visto turistico. “Ha vissuto a Firenze per sette anni”, racconta Mor Thiame, un amico di Diene che con lui ha condiviso l’appartamento nel capoluogo fiorentino. Poi si era trasferito a Pontedera, in provincia di Pisa e tutti i giorni faceva il pendolare per Firenze. Di mestiere faceva il venditore ambulante di ombrelli, calzini e accendini a Firenze.
In Senegal aveva undici figli, il suo sogno era quello di tornare nel suo paese per vivere con la sua famiglia e occuparsi dell’allevamento delle mucche della fattoria che aveva lasciato prima di partire. Negli ultimi tempi questo sogno gli sembrava sempre più distante; non tornava a casa da quattro anni per via di un problema legato al permesso di soggiorno, che proprio un mese prima del suo assassinio era stato risolto. Da allora non faceva altro che parlare di tornare casa, dopo tutto questo tempo costretto a starci lontano.
Era un punto di riferimento per tutta la comunità senegalese di Firenze. Era chiamato da tutti “il saggio”. Si svegliava ogni mattina alle cinque per la preghiera giornaliera e spesso conduceva le preghiere nella moschea che frequentava assiduamente.
Tutti questi sono racconti fatti dalle persone che lo conoscevano meglio. Un suo amico racconta che dopo la morte di suo cugino, ucciso il 13 dicembre 2011 a Firenze da Gianluca Casseri, militante di un’organizzazione neofascista italiana, Idy aveva deciso di prendersi carico economicamente della moglie.
La mattina del 5 marzo, poco prima di mezzogiorno, Diene era sul ponte Amerigo Vespucci, nel centro di Firenze, a due passi dal consolato degli Stati Uniti e dal parco delle Cascine. Un ex tipografo di 65 anni, Roberto Pirrone, gli si è avvicinato e gli ha sparato diversi colpi di pistola – sei o sette secondo le prime ricostruzioni – con un’arma semiautomatica. Sul posto sono subito arrivati i soccorsi, ma i tentativi di rianimare Idy Diene sono stati inutili. È morto poco dopo.
Pirrone, tipografo in pensione che aveva un regolare porto d’armi e possedeva diverse armi in casa, ha raccontato di volersi suicidare a causa di problemi economici e familiari e di aver sparato “a caso” contro Diene mentre era in uno stato confusionale. Alcuni testimoni che erano sul ponte in quel momento però raccontano che prima di sparare a Diene, l’uomo sembrava intenzionato a sparare ad una donna nera con un bambino.
La Procura di Firenze ha detto che il movente razziale per ora è escluso.
Intanto però la comunità senegalese è molto preoccupata per il clima di tensione fortemente presente sul territorio negli ultimi anni e soprattutto negli ultimi tempi. “Non si può morire così, come una bestia”, ha commentato Pape Diaw, rappresentante della comunità senegalese di Firenze, subito dopo l’omicidio. “Questo omicidio è frutto del clima che c’è in Italia”, ha aggiunto tracciando un elemento di continuità tra l’omicidio di Firenze e la campagna elettorale per le elezioni politiche del 4 marzo, caratterizzata da un sentimento di diffusa ostilità verso i migranti.
La paura diffusa nelle comunità migranti è legata al timore di subire atti violenti da parte della comunità locale, come già accaduto diverse volte in Italia, come a Macerata qualche settimana fa ma anche a Firenze.
Non è la prima volta che a Firenze un uomo spara contro gli immigrati, era già successo il 13 dicembre 2011 a piazza Dalmazia, quando il militante di Casapound Gianluca Casseri aveva ucciso Samb Modou (cugino sopracitato di Idy Diene) e Diop Mor, due ambulanti senegalesi e ne aveva feriti altri tre: Sougou Mor, Mbenghe Cheike e Moustapha Dieng.
La comunità senegalese di Firenze, molto ben organizzata e radicata, si sente colpita da quest’ultimo omicidio, spiega Anna Meli del Cospe, e “c’è molta rabbia per una morte assurda”. Per Meli, i rappresentanti delle comunità straniere, come Pape Diaw, in questi giorni hanno provato in tutti i modi a calmare gli animi, soprattutto dei più giovani che si sentono minacciati da attacchi come questo. E’ stata proprio lei a spiegare l’origine delle forti tensioni tra le istituzioni e la comunità di senegalesi.
Subito dopo l’omicidio, nella stessa serata, è stato organizzato un piccolo corteo di senegalesi che ha attraversato il centro della città. Alcuni di loro hanno rovesciato e danneggiato delle fioriere. Il sindaco di Firenze, Dario Nardella, ha scritto su Twitter che è stata una protesta violenta e l’ha condannata.
Questa palesata ostilità secondo la Meli è dovuta alla risposta diversa data dalle istituzioni in questo caso. Nel caso della strage del 2011 di piazza Dalmazia ci fu subito una condanna ferma da parte dell’amministrazione comunale e della regione. La Toscana infatti è sempre stata un territorio che poteva vantarsi di essere accogliente e favorevole alle proposte legate alla interculturalità, ma gradualmente questo aspetto si sta perdendo.
Al sit-in antirazzista, il 6 marzo, ci sono stati momenti di tensione quando è intervenuto il sindaco di Firenze, Dario Nardella, che in un primo momento subito dopo l’omicidio si era rifiutato d’incontrare i rappresentanti della comunità senegalese e aveva condannato il corteo di un gruppo di senegalesi che avevano distrutto fioriere e cestini della spazzatura nel centro della città. “La protesta violenta di questa sera nel centro della città è assolutamente inaccettabile. E sia chiaro che i violenti, di qualsiasi provenienza, non meritano giustificazioni. Vanno affidati alle forze dell’ordine e alla legge”, aveva scritto Nardella sui social network, suscitando molte critiche.
Questo clima di forte tensione non aiuta la comunicazione tra le comunità di immigrati e le istituzioni. Di questo ne sono consapevoli tutti. Pape Diaw, il rappresentate della comunità senegalese, pur non essendo d’accordo con le dichiarazioni del sindaco, ha deciso, in accordo con tutta la comunità, di ripagare gli oggetti danneggiati durante la manifestazione, come dimostrazione del fatto che ad atti di violenza e razzismo non è necessario rispondere allo stesso modo.
Carmen Sindona