Migrante e turista sono due facce complementari e simmetriche del viaggio moderno: il turista è lo straniero che l’autoctono serve, mentre il migrante è lo straniero che viene a servire l’autoctono. Buona parte della migrazione moderna è avvenuta, ed avviene, sotto forma turistica, di turisti che sforano il permesso di soggiorno o il visto turistico e restano a lavorare nel paese che “visitano”.
C’è anche da notare che la maggior parte del flusso turistico è costituita da migranti, o figli di migranti, che tornano a casa per le vacanze. Sono costoro turisti un po’ particolari, come la famiglia di filippini che ogni tre anni torna nella propria isola a visitare i figli piccoli che la nonna accudisce, mentre i genitori spediscono i soldi dall’Europa.
Turisti che non sono turisti.
Ma vi è ormai un collegamento più sottile tra turista e migrante, dovuto alla rivoluzione del nostro rapporto con lo spazio. Un tempo, quando partiva, l’emigrante abbandonava la propria patria potenzialmente per sempre. Era costretto a integrarsi. Il ritorno a casa era raro, spesso precedeva la morte. I legami con la madre patria si allentavano. Si tifava la squadra del nuovo paese di cui si finiva per guardare le trasmissioni tv e per ascoltare la musica. Ma oggi la multidimensionalità ha posto fine a tutto ciò. Un migrante può trascorrere tutta la vita in un luogo e però continuare a vedere film, assaporare musica, ascoltare sermoni del proprio paese natio, tifare per la squadra della propria adolescenza, mandare i figli a scuola in madrepatria, tornarvi spesso con voli low cost, cenare insieme ai propri cari all’altro capo del mondo attraverso Skype. Può contemporaneamente vivere due luoghi, può risiedere nel luogo del lavoro senza mai avere realmente abbandonato la propria terra natia. Senza dover padroneggiare davvero la nuova lingua, né apprendere i nuovi codici sociali. L’integrazione non è più all’ordine del giorno, non è nemmeno auspicata: può accadere, ma anche no: d’altronde è questa una delle ragioni per cui nel crogiolo le etnie non si fondono più.
Ancora una volta, ciò che permette di comunicare allo stesso tempo isola, una connessione che sconnette.
La società ha trovato un nuovo modo di “isolarci insieme”, come diceva Debord. Ci fa sfiorare senza incrociarci, guardare senza vedere, ascoltare senza sentire.[1]
Giorgia Balzano e Giulia Saggese
[1]D’Eramo Marco “Il selfie del mondo. Indagine sull’età del turismo”, Feltrinelli, Milano 2017