Marielle era una donna di sinistra, femminista, nera, sociologa, consigliera comunale a Rio de Janeiro e attivista per i diritti umani nelle favelas e per le persone lgbt. Lottava contro gli abusi della polizia, contro i narcotrafficanti e a favore dei diritti delle donne. Marielle Franco aveva 38 anni e la notte tra il 14 e il 15 marzo 2018 è stata uccisa insieme al suo autista Anderson Pedro Gomes mentre rientrava nella sua casa nel Complexo do Maré, un agglomerato di favelas a Rio de Janeiro dove vivono almeno 130mila persone, un luogo dove la povertà strisciante, la brutalità della polizia e le sparatorie tra le bande che controllano il traffico di droga sono all’ordine del giorno. Nonostante il Brasile sia uno dei paesi più violenti del mondo, la morte di Marielle ha avuto una forte risonanza non solo nel paese, ma anche all’estero, tanto che Amnesty International parla di “omicidio mirato”.
La sera dell’assassinio Marielle stava rientrando da una riunione, in cui aveva discusso dell’aumento dei crimini contro le donne nere come lei. Denunciava inoltre l’omicidio delle donne uccise dalla polizia militare e il clima di terrore che si respirava nelle favelas, dominate dai narcotrafficanti e dalle milizie. Consigliera anche del partito socialista, rappresentava semplicemente la speranza per una vita migliore. E’ stata una donna che non ha mai avuto paura, neanche quando, soltanto due giorni prima che fosse giustiziata in pieno centro, aveva accusato duramente la polizia di Rio de Janeiro definendola “battaglione della morte”. Era una donna a testa alta, amante della vita, un turbine di passioni. “Esisto perché esistete voi”, era il suo motto. Voleva dire che era al servizio di tutte le donne oppresse, innanzitutto quelle nere, e di tutti i deboli, gli emarginati.
Il modo in cui è stata uccisa è il segno che abbiamo oltrepassato una linea nel campo della violenza ormai sempre più istituzionalizzata. Ci sono ancora molti punti oscuri sulla morte della giovane donna. Gli indizi suggeriscono un’esecuzione, ma non è chiaro quali sarebbero i motivi. Non aveva mai ricevuto minacce e allora mi chiedo :”Perché proprio Marielle?”
Semplice. Perché donna. Perché femminista. Perché anticapitalista. Perché lesbica. Perché proletaria. Perché madre. Perché nera. Perché ascoltata. Questo assassinio politico non è che l’ultimo atto di una guerra di genere e di classe che si compie sul corpo delle donne tutti i giorni in tutto il mondo. In un paese come il Brasile, in cui le donne subiscono uno stupro ogni 11 minuti e 12 donne vengono uccise ogni giorno, essere donna e lottare per la propria autodeterminazione e per quella della propria classe è ancora un delitto imperdonabile.
Un altro elemento però che sembra indiscutibile e che sta dietro al crimine è il razzismo. Marielle non era l’unica attivista per i diritti umani della PSOL con mandato parlamentare, ma era una donna lesbica, nera, che osava occupare uno spazio destinato storicamente a ricchi uomini bianchi. Questo faceva di lei il tormento dei suoi aguzzini, un bersaglio naturale, una anomalia del sistema. Sebbene fosse una consigliera eletta con il voto, i suoi assassini, professionisti della morte, come dimostrato dalle caratteristiche del crimine, la vedevano certamente come uno di quei corpi “usa e getta”. Non sapevano che i tempi sono diversi, e che il Brasile non accetta più atrocità contro la leadership espressa da Marielle. Non ci sono dubbi che razzismo e misoginia siano i complici di questo brutale crimine. Sono anche gli interessi che hanno trasformato una terra bella come il Brasile in un inferno per tanta parte della sua popolazione. Sono i signori del liberismo selvaggio, i padroni di una società fondata sull’ingiustizia e l’emarginazione, razzisti, omofobi, fascisti. Una specie purtroppo dilagante e non solo in Brasile.
L’esecuzione di Marielle Franco avviene infatti in un clima politico, quello brasiliano, avvelenato da un’ondata di populismo razzista, che criminalizza la povertà e giustifica la violenza di stato. La continua ed instancabile azione di denuncia di Marielle pesava ed aveva una risonanza preoccupante, dato che era stata eletta a capo di una commissione per monitorare proprio l’attività della polizia nelle favelas di Rio. Marielle è stata uccisa per questo, per aver denunciato ciò che comportava l’intervento della polizia nelle favelas, ossia la morte della democrazia, repressione, violenza e brutalità, con una descrizione perfetta e profetica.
Migliaia di persone sono scese in piazza per esprimere la propria tristezza e rabbia per l’omicidio. È ancora presto per dire se queste proteste prenderanno una forma più strutturata e di lungo corso.
La combattività era il suo marchio di fabbrica, e la strada politica e personale che aveva percorso lo testimoniava. Avrebbe potuto correre per le presidenziali, acquisire ancora più influenza. Andava fermata. E con lei tutti coloro che ne condividono le battaglie.
Concludo affermando che la lotta che inizia, o meglio che si amplia guadagnando consensi, non finirà con l’arresto degli assassini, bensì con la realizzazione del mondo che lei sognava, un mondo in cui le donne, i neri di qualsiasi luogo abbiano gli stessi diritti e vivano con dignità. Marielle ad oggi è morta, ma le sue idee, quelle, non potranno essere uccise MAI.
Tonia Petruzzi