L’Afghanistan dei talebani: vite spezzate e diritti calpestati

Di Veronica Zaratin – L’evento “L’Afghanistan dei Talebani: prospettiva di un viaggiatore”, organizzato dal Centro Pace e presentato da Riccardo Prati ha riscontrato una numerosa partecipazione, con quasi un centinaio di persone presenti nella sala. Le foto e i video del viaggio hanno suscitato enorme interesse tra i partecipanti, incantati dalla bellezza naturale del paese e dalla peculiarità dei suoi abitanti. L’incontro, mirato a riaccendere interesse verso un paese così lontano non ha però dimenticato di denunciare la crisi umanitaria in atto nel paese.

La scelta di viaggiare in una nazione come l’Afghanistan, infatti, può sembrare agli occhi di molti curiosa dato che negli ultimi 50 anni è stata caratterizzata, a più riprese, da invasioni, guerre, cambiamenti politici e violenza. La situazione in Afghanistan è mutata nuovamente con la ripresa del controllo di Kabul da parte dei talebani, il 15 Agosto 2021. Vent’anni di conflitto con la coalizione internazionale sono terminati disastrosamente in poche ore: il Governo di Unità Nazionale, finanziato e supportato dall’occidente, non è riuscito a superare la pressione talebana e a mantenere l’autorità. Inoltre, l’accordo di Doha, stipulato tra i talebani e gli Stati Uniti nel febbraio del 2020, non ha portato, come auspicato, all’apertura di negoziati di pace tra talebani e governo in carica. E’ stato così che, territorio dopo territorio, i talebani sono riusciti a riprendersi la capitale, quasi senza incontrare resistenza. Nello stesso mese la maggior parte degli oppositori politici, tra cui il presidente Ashraf Ghani, fuggirono dal paese e i restanti furono pressoché eliminati. Con l’uscita di scena definitiva degli Stati Uniti, il 31 Agosto dello stesso anno, i talebani rimangono quindi l’unica forza politica del paese, senza opposizioni. Ad oggi, circa centomila talebani tengono sotto scacco 40 milioni di afghani.

La crisi umanitaria                                                                                                                                                                                                                                              La notizia della sconfitta americana è esplosa sui giornali, sui quali risuona frequentemente il titolo di “ritorno al passato”, con questa espressione si fa riferimento al ritorno di divieti e restrizioni, delle torture, della situazione femminile sempre più precaria, della crisi umanitaria, accompagnata dalla scarsità di cibo e risorse.

Nell’ultimo anno, la già devastante crisi umanitaria si è aggravata, esacerbata dalle sanzioni e dall’isolamento del paese, nonché dai terremoti e dalle inondazioni. L’OMS ha avvertito che milioni di persone sono a rischio malnutrizione e a rischio malattie, a causa dello scarso accesso all’assistenza sanitaria e al cibo. Le agenzie delle Nazioni Unite hanno invece stimato che, a due anni dalla ripresa talebana, nel 2023, il numero di persone bisognose di assistenza era di 29 milioni, oggi forse di più, in un paese che conta quasi 40 milioni di abitanti. Il sistema sanitario continua a dipendere dagli aiuti umanitari internazionali, questi tuttavia coprono solo in minima parte le spese sanitarie necessarie, che rimangono quindi precarie a causa della mancanza di infrastrutture e risorse.

Nonostante la riduzione della violenza legata al conflitto, dopo la presa del potere da parte dei Talebani, la guerriglia non è cessata e i civili hanno continuato a subire attacchi in tutto il paese. La violenza è rivolta soprattutto a coloro che hanno partecipato in qualche modo al Fronte di Resistenza Nazionale. Nel giugno del 2023 Amnesty International ha riferito che i talebani stavano applicando punizioni collettive ai civili nella provincia di Panjshir, che comprendevano arresti di massa ed esecuzioni extragiudiziali.  L’UNAMA (United Nations Assistance Mission in Afghanistan) ha registrato almeno 218 esecuzioni extragiudiziali di membri dell’ex governo e del personale di sicurezza tra agosto 2021 e giugno 2023.

I rifugiati                                                                                                                                                                                                                                        Le testimonianze dei rifugiati afghani, durante la conferenza del Centro Pace, hanno catturato l’emozione e la commozione dei presenti in sala. Le motivazioni della loro scelta erano diverse, ma il viaggio e le difficoltà incontrate erano le medesime. Secondo l’OIM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni), milioni di persone hanno attraversato i confini dell’Afghanistan verso il Pakistan e l’Iran. Non si conoscono i numeri esatti, data l’illegalità delle emigrazioni, ma la stessa fonte ha riportato che nel 2022 più di 3,5 milioni di persone si erano recate in Pakistan e oltre 500.000 in Iran. Il viaggio non è semplice e il rischio di essere rispediti indietro è molto elevato: il Middle East Eye ha riportato che circa 60.000 persone sono state riportate in Afghanistan dalla Turchia con i soli voli aerei, mentre Amnesty International riporta le uccisioni, le torture e gli arresti dei richiedenti rifugio sia in Turchia sia in Iran. Inoltre, l’amministrazione talebana ostacola di fatto l’emigrazione, ancora ufficialmente legale: il prezzo per la richiesta di passaporto è salito a 3000 dollari e per l’espatrio vengono richiesti documenti difficilmente reperibili in Afghanistan come, per esempio, il certificato di matrimonio.

Tra gli invitati era presente un rifugiato hazaro, in Italia con tutta la sua famiglia. La loro etnia ha sempre subito discriminazioni ed episodi di violenza. Tuttavia, con la salita al potere dei talebani, gli hazari hanno dovuto affrontare una crescente emarginazione e spesso lo sfratto da case e terre e la confisca di veicoli. Anche le comunità uzbeke, turkmene e tagike hanno subito lo stesso destino. I membri della comunità baloch invece sono stati arrestati e fatti sparire con la forza. L’EUAA (l’Agenzia dell’Unione Europea per l’Asilo) ha spiegato che i talebani di solito non attaccano le piccole comunità hazare e sciite perché non percepite come una minaccia. La discriminazione e le violenze provengono però dai comandanti locali, molto più intolleranti nei confronti di queste comunità. Il motivo è il seguente: queste etnie rappresentano una piccola parte della popolazione nel suo complesso, ma in alcune regioni, specialmente al nord, ne costituiscono la maggioranza. Incutere terrore è l’obiettivo dei comandanti locali, che in questo modo riescono con più facilità a opprimere le aspirazioni di questi popoli.

La donna afghana                                                                                                                                                                                                                                    L’idea talebana del ruolo femminile non viene poi dimenticata dall’amministrazione talebana: nuove e numerose politiche impediscono alle donne di esercitare i loro diritti nella maniera più assoluta. Lesi sono i diritti alla vita, al sostentamento, all’accesso all’assistenza sanitaria, all’istruzione oltre i 12 anni e molti altri. Le donne non possono più svolgere lavori pubblici o ricoprire un ruolo di responsabilità all’interno delle istituzioni centrali. Le Nazioni Unite riportano che la maggior parte delle donne che lavoravano per il precedente governo non hanno potuto riprendere il proprio lavoro. In molte province afghane l’amministrazione talebana ha emanato anche norme che vietano alle donne di viaggiare o uscire di casa senza essere accompagnate da un parente maschio, di ascoltare la musica o recarsi nei parchi. Inoltre, nella maggior parte dei luoghi pubblici, devono indossare l’hijab integrale, devono avere il volto coperto e non possono parlare. Le restrizioni hanno portato alla reazione di migliaia di donne in una prima istanza. Le proteste contro le politiche talebane sono state però violentemente represse e le donne catturate e detenute per ore o giorni. Alcune sono state addirittura torturate e in certi casi sono stati catturati anche i loro familiari. Il relatore speciale delle Nazioni Unite ha visitato il paese a maggio 2024 e sulla discriminazione diffusa di donne e ragazze ha concluso che “costituisce una persecuzione di genere e un quadro istituzionalizzato di apartheid di genere”.

La situazione afghana è quindi estremamente precaria e continua a peggiorare dal 2021. Al momento uno spazio di miglioramento è lontano: non sono presenti forze attive di opposizione nel paese e le speranze si aggrappano solo agli aiuti umanitari, purtroppo troppo scarsi per fare la differenza. Nonostante questo l’opinione pubblica ha gli occhi puntati sul paese e guarda alla situazione con indignazione e condanna.

Fonti:

https://www.amnesty.org/en/documents/pol10/7200/2024/en/

https://bti-project.org/en/reports/country-report/AFG

https://www.hrw.org/world-report/2023/country-chapters/afghanistan-0

https://euaa.europa.eu/publications/afghanistan-country-focus

https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/afghanistan-il-ritorno-dei-talebani-31366

 

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