La “forse” nuova legge UE sull’immigrazione

di Sara Scheda – Nella giornata del 10 aprile il Parlamento Europeo ha approvato con 322 voti favorevoli, 266 contrari e 31 astenuti il Regolamento sulla gestione dell’asilo e della migrazione, provocando forti applausi in aula, ma anche cospicue proteste.

Infatti dall’area riservata al pubblico, un gruppo di persone ha intonato cori contro la decisione del Parlamento, definendo la legge come “omicida”, inveendo contro la presidente, che si è trovata costretta a zittire le proteste facendo riferimento al diritto del voto dei parlamentari. Oltre che ai cori di civili, molte ONG si sono dichiarate estremamente contrarie, andando a definire l’approvazione della norma in parlamento come una decisione killer, contraria ai diritti umani ed estremamente eurocentrica.

Al contrario, la Presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola, ha sostenuto come sia stata fatta la storia, andando quindi ad appoggiare il risultato, prodotto da anni di diplomazia fallimentare. Un esempio ne è il 2016, anno in cui il progetto venne bocciato, obbligandolo ad essere riproposto proprio nella giornata dello scorso 10 aprile.

Il pacchetto è stato presentato da tre gruppi parlamentari: liberali, socialisti e popolari. Infatti, non stupisce come circa il 51% della popolazione si sarebbe espressa in maniera critica in tema di immigrazione, rendendo ovvio il tentativo di togliere voti all’opposizione in vista delle elezioni di giugno.

Il pacchetto tanto discusso consiste in una decina di norme che fanno ancora riferimento al protocollo di Dublino, rimasto invariato, che consisterebbe nel dare la responsabilità del migrante al primo paese su cui poggia piede. Legge criticata per anni dall’Italia, in quanto va ad aggiungere maggiori responsabilità proprio ai paesi del Sud Europa o maggiormente vicini a Paesi stranieri, non a caso Grecia, Spagna e Italia.

Nonostante il protocollo di Dublino, il pacchetto costituisce un maggiore aiuto europeo nei confronti dei Paesi che, per una questione economica o fisica, non riuscirebbero a prendersi cura di un determinato numero di migranti, potendo intervenire in tre modi differenti: tramite compenso economico, prendendosi in carico un prefissato numero di migranti nel proprio Paese, oppure tramite strumenti logistici.

Oltre agli aiuti diretti dei Paesi membri, si parla anche in maniera più generale di un solidarity pool, ovvero un meccanismo di solidarietà obbligatoria, con un numero specifico di ricollocamenti possibili e finanziamenti da parte dell’Unione verso i paesi più in difficoltà. Il calcolo della parte che spetta a ogni Paese in termini di ricollocamenti o finanziamenti tiene conto di due fattori: popolazione e prodotto interno lordo. La stima annuale della Commissione deve essere poi approvata dagli stessi Stati membri.

Ma non solo: il pacchetto di leggi includerebbe anche numerose strategie e accordi con i Paesi africani e asiatici per ridurre i flussi migratori diretti nell’Unione. Questa decisione è stata dettata soprattutto dall’idea di prendersi in carico un numero sempre minore di migranti, andando a “risolvere il problema” alla radice, cioè nei paesi di origine. Infatti, la responsabilità dello Stato di primo ingresso durerà solo 20 mesi, 12 per le persone salvate in mare.

È importante sottolineare come i Paesi non siano obbligati a farsi carico dei ricollocamenti degli immigrati, ma se non ce ne saranno abbastanza, allora gli Stati del primo ingresso avranno il diritto di rifiutare le richieste di asilo dei migranti approdati sul suo territorio e poi passati irregolarmente in un altro Paese.

Il vero dibattito si è creato però in riferimento al Regolamento sulle procedure di asilo, che si andrebbe a modificare facendo spazio a un percorso più veloce e da molti considerato anche più crudele e superficiale.

Ogni persona migrante infatti avrà un massimo di 21 giorni per presentare la propria richiesta di asilo che dovrà essere esaminata entro un massimo di sei mesi. Alcuni migranti saranno sottoposti alla procedura tradizionale, altri a una procedura “accelerata” di frontiera detta “border procedure”.

La border procedure sarà indicata per determinate categorie di persone, ovvero quelle incolpate di mentire alle autorità, ma anche quelle considerate come pericolo per la sicurezza del paese, o più semplicemente provenienti da paesi cui solitamente ai cittadini non viene concesso il diritto di asilo. Con “pericolo per la sicurezza” non è chiara l’interpretazione, infatti com’è evidente, sarà interpretabile da Paese a Paese. Per ogni Stato membro è previsto un tetto massimo di persone che possono essere sottoposte alla border procedure, la quale coinvolgerà a livello europeo al massimo 30mila migranti.

Secondo i critici la border procedure comporterebbe la detenzione di migliaia di persone migranti, anche se l’eurodeputata Fabienne Keller avrebbe smentito la necessaria correlazione tra le due condizioni, che sarebbe decisione appunto degli Stati nello specifico.

Un’ulteriore risoluzione, che ha attirato non a caso l’attenzione, è quella in riferimento alla gestione delle crisi. Questa risoluzione prevede aiuti in riferimento ad arrivi ingenti di migranti in determinati periodi storici e particolari, come nel caso della pandemia del 2021. Sarà infatti lo Stato protagonista a dover attivare la situazione di crisi. La risoluzione permetterebbe di agire applicando misure più severe e anche più lente. È importante anche sottolineare come non esista sempre una regola precisa che classifichi un cosiddetto stato di crisi, quindi nuovamente interpretabile dai singoli Paesi. Una volta certificata la situazione di crisi, la Commissione emetterà un atto legislativo che dovrà passare dal Consiglio, cioè essere approvato con un voto a maggioranza qualificata dagli Stati membri. Per i casi approvati, dovranno aumentare le misure di solidarietà da parte degli altri Stati, con ricollocamenti e finanziamenti per un periodo massimo di 12 mesi, anche se è importante sottolineare come non sia un obbligo formale la presa in carico di uno Stato.

Un ulteriore regolamento che desta preoccupazione da parte della comunità europea, sarebbe quello sullo screening, approvato con 366 voti favorevoli, 229 contrari e 26 astensioni, che tratterebbe la possibilità di controlli di accertamento sulle persone straniere in procinto di entrare, o già presenti in maniera irregolare in territorio europeo, per raccogliere informazioni su nazionalità, età, impronte digitali e immagine del volto.

Secondo gli ultimi dati di Frontex, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, gli ingressi in Ue nel 2023, rispetto al 2022, sarebbero aumentati del 17%, mettendo sempre più in difficoltà Paesi del Mediterraneo centrale.

Manca l’approvazione del Consiglio, che tuttavia sarebbe solo formale nella pratica. Rimangono comunque le paure e i dubbi di molte organizzazioni umanitarie tra le quali Amnesty e Save the Children che continuerebbero a sottolineare il rischio di “normalizzazione” di questi provvedimenti considerati da loro come inumani.

 

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