Kashmir: un appello al papa

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La storia del Kashmir sotto occupazione indiana è molto complessa. Come sappiamo, dopo la fine della colonizzazione inglese, l’India si è divisa tra India e Pakistan. Allora, lo stato di Jammu e Kashmir, che aveva un suo proprio re, è stato lasciato libero. A quel punto però, dei gruppi tribali appoggiati dal Pakistan hanno invaso il Paese. Il re, impaurito e senza armi adeguate, ha chiesto l’aiuto dell’India per difendersi. Il conflitto, da allora, non è stato mai definitivamente risolto, nonostante le guerre tra India e Pakistan. Una parte del Kashmir è rimasta sotto il Pakistan e una parte sotto l’India, che ha garantito delle autonomie e un Parlamento legislativo, escludendo da quel Parlamento locale solo le questioni di politica estera, difesa e moneta.

Nel tempo, ci sono state numerose risoluzioni ONU, mai prese in considerazione, che invitavano India e Pakistan a permettere un plebiscito tra la popolazione, considerando anche il principio di autodeterminazione dei popoli. Negli ultimi trenta anni, tra l’altro, sono morte nel Kashmir occupato dall’India circa centomila persone. Più di diecimila persone, inoltre, mancano all’appello perché, uscite per andare al lavoro oppure arrestate, non sono mai tornate a casa. In Kashmir ci sono migliaia di vedove chiamate mezze vedove perché non sanno più nulla del loro marito. Dal 2012, i soldati indiani usano contro chi protesta le “pellet gun”, pistole, proibite negli altri Paesi, che sparano pallini che colpiscono viso, occhi, e altre parti del corpo, rendendo le persone, specialmente i giovani, anche se vive, disabili per tutta la vita.

Zargar, molto preoccupato anche del rischio di un’altra guerra tra India e Pakistan, che sarebbe, questa volta, nucleare, ha dunque inviato il messaggio che segue al Papa.

Savona, 27 agosto 2019

 

Sua Santità, Papa Francesco,

come Lei saprà, improvvisamente, dal 5 agosto 2019, la popolazione del Jammu e Kashmir, occupato dall’India, è sotto assedio. Il Governo indiano ha revocato unilateralmente, senza alcun motivo scatenante, lo status speciale garantito fin dagli anni ’50, e ha diviso lo Stato stesso in due parti, eliminando le autonomie e inglobandolo direttamente sotto il potere del Governo indiano.

Nove milioni di persone sono sotto assedio.

Infatti è stato istituito un severo coprifuoco, che comporta non poter uscire di casa e che i negozi siano chiusi, come le scuole, gli uffici ecc. La gente ha paura: le strade, bloccate con filo spinato, sono zeppe di soldati indiani (più di 700.000) che imbracciano armi pesanti (il Kashmir è il paese più militarizzato al mondo).

Il Governo indiano ha interrotto tutte le comunicazioni: non funzionano le linee telefoniche, né fisse né cellulari, non c’è internet, tutti i mass media sono sotto controllo.

I Kashmiri all’interno del Paese non sanno cosa stia succedendo nel Kashmir stesso, né chi è fuori dal Paese può mettersi in contatto con i suoi parenti e amici per avere loro notizie. Mancano le medicine, le persone non possono andare all’ospedale, se necessario, perché rischiano che gli venga sparato, e intanto, negli ospedali, manca il personale, perché non tutti riescono a recarsi al lavoro anche se di emergenza.

Secondo le stime delle organizzazioni nazionali e internazionali non governative, che cercano di raccogliere con grande difficoltà qualche informazione, le persone incarcerate a scopo preventivo sarebbero 4000, dai 16 anni in su, compreso leader politici di tutti i partiti, persino quelli filoindiani. I giovani, in particolare, vengono prelevati nelle case durante la notte e condotti in carcere senza motivo, se non quello che un domani potrebbero ribellarsi e protestare. I genitori dei giovani maschi sono nella disperazione, tanto più che, secondo una legge, detta PSA, antilibertaria e antidemocratica imposta dall’India, le persone possono restare in carcere fino a due anni senza processo.

È stata, inoltre, soppressa la libertà religiosa: i luoghi di culto sono chiusi e la gente, se non raramente e in minuscole strutture, non può recarsi liberamente a pregare.

La situazione è così grave che i rappresentanti dei Partiti dell’opposizione nazionale indiana, tra cui il Partito del Congresso ( il movimento politico dei Gandhi), sono arrivati all’aeroporto di Srinagar, capitale del Kashmir, per visionare la situazione, che il Governo Indiano aveva definito “buona”. Essi sono stati respinti e a loro non è stato concesso neppure l‘ingresso nel Paese.

Io vengo da Srinagar, vivo in Italia da più di trenta anni, ormai sono italiano. Ma i miei parenti vivono tutti là e dal 5 agosto non so più nulla di loro, come succede a migliaia di altri Kashmiri che si trovano fuori dal Paese. Non so se i miei cari stiano bene, se possono mangiare, curarsi, se i loro figli siano in salvo o no.

Sua Santità, le chiedo, dato che Lei si è schierato sempre con gli oppressi e ha dato sempre voce a chi non ce l’ha, di utilizzare la sua Diplomazia e di domandare al Governo indiano di togliere tutte le restrizioni dei diritti e della libertà della persona. Desideriamo tutti che il popolo inerme possa tornare a svolgere pacificamente la sua quotidianità.

Distinti saluti

dottor Zahoor Ahmad Zargar

Savona

di Zahoor Ahmad Zargar (*)

  • Zahoor Ahmad Zargar (https://it.wikipedia.org/wiki/Zahoor_Ahmad_Zargar) leader della Comunità Islamica Italiana, kashmiro di nascita, da sempre impegnato attivamente per la pace e i diritti umani, ha inviato un appello a Papa Francesco perché rivolga, pubblicamente, un pensiero alla popolazione del Kashmir privata improvvisamente e unilateralmente dal Governo indiano della libertà e dei diritti della persona.
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