In India la parte dell’articolo 377 del codice penale che criminalizzava l’omosessualità è stata abolita, nonostante la maggioranza della popolazione fosse contraria.
Questa norma, nota come “Sezione 377”, risalente a 157 anni fa, era entrata in vigore in pieno periodo coloniale e definiva i rapporti tra persone dello stesso sesso come “rapporti carnali contrari alla natura”. Chi veniva condannato poteva rischiare dai 10 anni di reclusione fino all’ergastolo; la norma era diventata una vera e propria arma usata contro la comunità LGBT (lesbian, gay, bisexual, trans). La comunità ha accolto con grande entusiasmo l’abrogazione di tale norma; la loro battaglia infatti andava avanti dal 2001, in particolare nelle zone più remote dell’India dove l’omosessualità veniva considerata una malattia mentale.
La norma 377 era già stata abrogata per la prima volta nel 2009; ma successivamente nel 2013, a causa delle numerose proteste da parte delle comunità religiose, il divieto era stato reintegrato. Sono stati un gruppo di attivisti a fare ricorso sulla costituzionalità di tale norma, dichiarando che essa violava i diritti fondamentali previsti dagli articoli 14 e 21 della Costituzione sul diritto all’uguaglianza e sul diritto alla vita. La Corte Suprema ha concordato con gli attivisti e la decisione per la depenalizzazione è stata unanime.
Dal 6 settembre 2018 quindi in India l’omosessualità non è più considerata un reato. Rimane però tale in 72 Paesi, la strada per un’integrazione universale è ancora lunga.
Giulia Soffiantini