IL SECOLO E’ MOBILE: RECENSIONE

di Veronica Zaratin – Il libro “Il Secolo è Mobile” di Gabriele del Grande presenta un tema interessante di cui mi sento di sapere ben poco, le migrazioni. Ho deciso di leggerlo dopo aver visto lo spettacolo dedicato: il monologo multimediale in cui Gabriele del Grande racconta il suo libro attraverso immagini e video d’epoca. Dopo lo spettacolo, ho avuto anche l’occasione di conoscerlo ed è stato proprio lui, con gli ulteriori approfondimenti al tavolo del ristorante, che mi ha convinto a leggerlo. Inizialmente il numero di pagine può intimorire, ma il libro è scorrevole e si legge serenamente. Gabriele ha sicuramente dimostrato di essere padrone dell’argomento e di saperlo raccontare, sia nelle pagine, sia a parole. A differenza dello spettacolo, il libro è estremamente dettagliato, ricco di dati e approfondimenti. Questo non mi ha turbato, anzi ritengo che il libro sia un’ottima base di partenza per coloro che vogliono iniziare a scavare sull’argomento ed è anche un buon volume per eventuali ricerche scolastiche.

Il libro espone la storia dell’immigrazione dalla fine del 1800 ai giorni nostri. Una storia decisamente violenta e razzista: Del Grande racconta le guerre e i disastri climatici che comportano l’abbandono della terra natia, racconta dei muri alzati contro i migranti, delle deportazioni, delle uccisioni di massa, di stupri e castrazioni. Atti violenti e senza scrupoli ad opera di tutti; bianchi, neri, gialli. Ciò che risulta evidente da questa storia è che i Paesi che hanno imposto e che continuano a imporre limiti agli ingressi dei migranti vogliono frenare l’arrivo dello strato più povero della popolazione, quello che oggi non può permettersi di comprare un biglietto e sedersi su un aereo. I ricchi, invece non ricevono lo stesso tipo di rifiuto: 

“Le opzioni che avevano a disposizione erano due. La prima passava per il visto d’oro, o Golden Visa, che in cambio di un investimento di almeno 250 mila euro in uno Stato membro dell’UE dava diritto a tre anni di residenza e alla successiva acquisizione della cittadinanza per sé e per i propri familiari. La seconda prevedeva direttamente l’acquisto di un passaporto europeo. L’Austria vendeva i propri a 10 milioni di euro. […]. Nessun requisito. Bastava pagare. Per diventare cipriota, maltese o bulgaro, invece, di milioni ne bastavano due. […] un passaporto rosso con cui poter vivere ovunque nell’area Schengen e viaggiare in quasi tutto il mondo senza bisogno di chiedere visti.” (p 456)

In Europa, in particolare, quello che l’autore chiama “regime di Schengen” si scaglia contro africani e islamici. In effetti, nell’immaginario comune, il volto “clandestino” è nero o magrebino, prende le sembianze di un barcone di fortuna che naviga nel mediterraneo o di baraccopoli montate in attesa che qualcuno apra la rete spinata della frontiera. Eppure, Gabriele ripete più volte nel libro: 

“gli sbarchi non rappresentano che il 9% dei flussi migratori tra le ex colonie e l’Europa. Con quei numeri, gli arrivi via mare non potevano certo dirsi la causa dell’aumento della popolazione non bianca” (p 458). 

L’autore quindi confuta l’immaginario comune, la retorica di una parte della politica, la stampa e la comunicazione stessa: gli sbarchi non sono il problema. 

Del Grande conclude con il suo sogno, la sua soluzione al problema: 

“La libertà di spostare il proprio corpo nel mondo deve essere riconosciuta come diritto fondamentale. E un diritto, o è di tutti, o non lo è. Io sogno un mondo senza più anacronistici divieti di viaggio razziali o classisti. Un mondo dove non siano più gli Stati a decidere chi lasciare entrare e chi espellere in virtù di un’appartenenza etnica e di un ceto sociale. Ma siano i singoli individui a decidere liberamente in quale fazzoletto di terra inseguire la propria personalissima idea di felicità.” (p 531)

Il mondo che dipinge è un mondo libero, in cui gli Stati non hanno frontiere e dove ognuno è libero di scegliere dove vivere. Un mondo in cui le mafie non sono più alimentate dal mercato degli spostamenti, perché non c’è più bisogno di rivolgersi a loro. Un mondo in cui le responsabilità dei singoli Stati aumentano in favore della pace e della conservazione ambientale, perché nessuno può permettersi un’ondata di migranti che attraversano le frontiere per guerre o disastri ambientali. Un mondo in cui nel futuro, forse, il colore della pelle non sarà più un problema.

Come dice la copertina, il risultato del libro è una narrazione avvincente che contrappone ai fantasmi del passato suprematista euro-atlantico uno sguardo cautamente ottimista sul futuro. Del Grande padroneggia gli argomenti e sa convincere il lettore (o almeno io sono convinta). Ritengo comunque, che, anche se non si è d’accordo con la soluzione finale proposta dal giornalista, il libro sia comunque stuzzicante e sicuramente non monotono.

Consiglio vivamente la lettura.

 

 

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