A poco più di 20 anni la Corte europea ancora attende risposte dal Governo per le mancate sanzioni ai poliziotti
Siamo da poco entrati nel 2022, tante cose si sono evolute in meglio e altre no. Quest’ultimo è il caso delle mancate sanzioni ai poliziotti coinvolti nei fatti di Genova del 2001, a poco più di 20 anni resta ancora tanta omertà e opacità.
Basti pensare che sono state dichiarate coinvolte appena 30 unità di personale e i 18 poliziotti sospesi sono stati tutti reintegrati. In merito è stata aperta un’inchiesta dalla Corte europea che attende ancora risposte dal Governo Draghi.
Come i governi che lo hanno preceduto, anche il Governo Draghi sembra mantenere la stessa linea fatta di silenzio sui fatti di Genova 2001, nonostante le richieste avanzate più volte dalla Cedu, la Corte europea dei diritti dell’uomo, sull’esecuzione della sentenza Cestaro dell’aprile 2015 sui fatti della scuola Diaz.
Tuttavia alcune novità in merito ci sono. Infatti, per la prima volta, il dipartimento di Pubblica sicurezza ha fornito il numero di poliziotti sanzionati, confermando che nessuno dei condannati in via definitiva per i fatti del G8 è stato rimosso dall’incarico. La direzione del Servizio affari generali del ministero dell’Interno ha fatto sapere, inoltre, che “il numero del personale appartenente alla polizia di Stato destinatario di una o più sanzioni disciplinari relative ai fatti del G8 di Genova 2001 è di 30 unità”. Le sanzioni si limitano a 13 richiami scritti, 2 pene pecuniarie, 5 sospensioni disciplinari e 18 sospensioni dall’impiego da 20 giorni a 6 mesi. Tutti i provvedimenti sono stati presi a partire dal 2010 fino al 2016, ovvero diversi anni dopo i fatti. Nonostante condanne definitive per reati gravissimi, nessuno è stato destituito.
Quando vengono poste domande alla polizia per conoscere le tipologie di incarico dei sanzionati, le risposte date sono vaghe, imprecise: “non possiamo dar seguito per evitare un pregiudizio concreto alla tutela della protezione dei dati personali. Il rischio è di rendere identificabili i soggetti interessati, seppur indirettamente”. Rivelare gli incarichi che i sanzionati ricoprivano vorrebbe dire, secondo il Viminale, incidere sul rapporto e la vita lavorativa ed in più quelle informazioni potrebbero essere utilizzate da terzi, ad esempio nell’ambiente mediatico.
Ma se non è dato sapere gli incarichi che i poliziotti rivestivano, ancor più grave è il non poter sapere nemmeno gli illeciti disciplinari che sono stati contestati. Saperlo, infatti, vorrebbe dire avere finalmente una spiegazione alle leggerissime misure che sono state prese, senza che nessuno venisse destituito. La polizia di Stato ovviamente si nasconde dietro a una fitta nebbia che maschera la realtà delle cose, una nebbia che non può essere dissipata grazie alla scusa della tutela della riservatezza.
Eppure, il decreto del presidente della Repubblica 737 del 1981 “Sanzioni disciplinari per il personale dell’Amministrazione di pubblica sicurezza e regolamentazione dei relativi procedimenti” elenca le condotte che comportano la destituzione, tra queste troviamo: “atti che rivelino mancanza del senso dell’onore o del senso morale”; quelli “in grave contrasto con i doveri assunti con il giuramento”; “grave abuso di autorità o di fiducia”; “dolosa violazione dei doveri che abbia arrecato grave pregiudizio allo Stato, all’Amministrazione della pubblica sicurezza, a enti pubblici o a privati”; “gravi atti di insubordinazione commessi pubblicamente o per istigazione all’insubordinazione”; “reiterazione delle infrazioni per le quali è prevista la sospensione dal servizio o per persistente riprovevole condotta dopo che siano stati adottati altri provvedimenti disciplinari”. L’ultimo caso è l’”omessa riassunzione del servizio, senza giustificato motivo, dopo cinque giorni di assenza arbitraria”.
Alla luce di questi dati viene spontaneo chiedersi come i condannati nel processo Diaz non siano stati incriminati per nessuna di queste tipologie, a maggior ragione dopo che la Cassazione ha dichiarato che la “condotta aveva gettato discredito sulla nazione agli occhi del mondo intero”.
Entro il 30 giugno 2020 il governo italiano avrebbe dovuto fornire informazioni al Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa rispetto ai procedimenti disciplinari e ai loro esiti, non lo ha fatto. Il contenuto delle risposte fornite spiega il perché di quel silenzio: nessuno ha pagato davvero per i fatti di Genova.
Il Governo si è fatto sentire l’ultima volta nel 2019 con una comunicazione in cui, per quanto riguarda la responsabilità disciplinare, si limita a esporre genericamente il quadro normativo esistente, senza alcun riferimento ai casi concreti.
Significativa è la risposta data da Enrico Zucca, sostituto procuratore generale di Genova, alla domanda “ perché questa reticenza con le istituzioni sovranazionali?”: “Non certo per pudore nei loro confronti perché peggio del rifiuto non v’è nulla. I problemi sono l’opinione pubblica e il corpo di polizia che si chiude a difesa a oltranza dei suoi membri. L’una non deve sapere, l’altro deve sapere che è protetto. La polizia, che è lo scudo che dovrebbe proteggere le libertà dei cittadini, diventa scudo di se stessa, contro i cittadini”.
Quelle sentenze dure che tutti si aspettavano non sono mai state date agli autori delle torture di Genova, sentenze che sarebbero servite come deterrente contro il riverificarsi di tali comportamenti violenti da parte delle forze dell’ordine. Per fare in modo che i diritti umani non vengano più calpestati in futuro, servono ferme sanzioni individuali in modo da rendere tangibile l’effetto di deterrenza: “niente bilanciamenti con l’onorata carriera”, osserva Zucca “ è tempo di chiarire che nessuna onorata carriera può essere ancora tale con l’ombra della tortura”.
Imbarazzante è anche la farsa del Governo che cerca di evidenziare lo sforzo di adeguamento del sistema per evitare il ripetersi di questo tipo di violazioni quando la soluzione più semplice e immediata è stata data proprio dalla Corte, ovvero l’adozione di codici identificativi sui caschi delle forze dell’ordine. La proposta di legge si è penosamente arenata in Parlamento, facendo la fine di tante altre.
E se al peggio non c’è mai fine, ecco che con il Governo Draghi non solo le cose non son cambiate, bensì le scappatoie per l’impunità sembrano incrementare. Il Governo si è tirato fuori da questa storia, restando indifferente, ritornando nell’ombra, ignorando completamente le condanne della Corte di Strasburgo per tortura e maltrattamenti.
Sul G8 di Genova il cerchio si è chiuso nel peggiore dei modi, con l’impunità dei responsabili, l’indifferenza del Governo e uno schiaffo alla democrazia e ai suoi principi.
Di Linda Della Lena
Fonti: Altraeconomia, numero 242, anno 2021: “G8: omertà di gregge”