Non si parla d’altro da ore e ore, la notizia ha fatto il giro del mondo, sconvolgendo e stravolgendo tutti, è stata sbattuta in faccia a milioni e milioni di persone la dura e cruda verità della vita reale, quella concreta. Per un attimo, e forse anche molto di più, ci siamo sentiti impotenti, affamati di giustizia, privi di parole, con tanta voglia di riscatto, letteralmente scioccati: è bastata la pubblicazione di un video di dieci minuti appena, per renderci conto di quanto sia sconcertante la crudeltà dell’uomo, di quanto l’essere umano, talvolta, non conosca limiti e vada ben oltre. Dieci minuti alquanto raccapriccianti, colmi di agonia, sgomento, dolore, con immagini davvero forti. Un video del quale ci ricorderemo per sempre, in particolar modo ci ricorderemo quelle tre parole, difficili da dimenticare, quasi sussurrate: “I can’t breathe”.
George Floyd, quarantaseienne afroamericano, muore il 25 maggio 2020, dopo svariati minuti in cui non riesce a respirare, a causa del ginocchio di un poliziotto, che lo sta arrestando, posizionato sul suo collo. Il motivo dell’arresto? Dalla ricostruzione della vicenda, riportata dal giornale “l’Internazionale”, “il proprietario di un negozio ha chiamato la polizia per denunciare un uomo che aveva usato una banconota da venti dollari falsa. Gli agenti arrivati sul posto avrebbero trovato il sospettato nella sua macchina, e secondo loro era “sotto l’effetto” di droghe o alcol. (…) l’uomo si è rifiutato di uscire dalla macchina. A quel punto lo hanno ammanettato (…). Floyd è stato poi immobilizzato a terra, a pancia in giù e con il volto girato verso destra. Uno dei poliziotti gli ha premuto il ginocchio sul collo per diversi minuti. (…) si sente Floyd dire “non riesco a respirare” e “non uccidetemi”. Si sentono anche alcuni passanti dire “liberategli il collo” e “sta sanguinando dal naso”. Floyd poi smette di muoversi e viene sistemato su una barella e caricato su un’ambulanza.”
Questo è ciò che è accaduto, sembrerebbe la scena di un film, invece è tutto così vero, è successo a Minneapolis, in Minnesota, nello Stato a stelle e strisce, nonché la culla delle libertà costituzionali e dei diritti del mondo occidentale, che strano paradosso. È successo nella stessa città in cui quattro anni fa perse la vita Philando Castile, “un nero di 32 anni che a luglio del 2016 fu ucciso da un agente mentre era in macchina con la fidanzata e la figlia (…) mentre allungava la mano per prendere la patente, uno degli agenti gli aveva sparato”, così trascrive il giornalista Alessio Marchionna dell’Internazionale. La vicenda di George Floyd ricorda anche Eric Garner, afroamericano morto soffocato nel 2014 a New York City, mentre veniva arrestato: aveva pronunciato le stesse agghiaccianti tre parole di George qualche giorno fa.
È chiaro e evidente che si sia riacceso il dibattito sul razzismo, ed è giusto così, perché fatti del genere è inconcepibile che si possano ripetere tra qualche anno: è intollerabile venire a sapere che un uomo, soltanto perché di colore, sia stato ucciso da un agente della polizia, da una forza dell’ordine statale, è come se fosse stato ucciso dalla Legge statunitense stessa.
Fatti del genere mettono ancora più in luce le strane contraddizioni di questo grande paese, gli USA; e pensare che nasce proprio qui il cosiddetto “American dream”, l’idea che ognuno, chiunque sia, possa farcela; la speranza che, attraverso il duro lavoro, il coraggio, l’impegno, la forza di volontà e la determinazione, si possa raggiungere un miglior tenore e una migliore qualità di vita, sia economicamente che socialmente, svanisce, perde significato e crolla di fronte a tragedie come queste. Morire perché sei afroamericano fa rabbrividire soltanto a scriverlo.
“Quello che abbiamo visto è sbagliato a ogni livello, essere nero negli Stati Uniti non dovrebbe essere una sentenza di morte”, forse una super potenza economica come l’America dovrebbe ripartire proprio da qui, dalle parole del Sindaco Jacob Frey.
Claudia Filippi
FONTE:
https://www.internazionale.it/notizie/alessio-marchionna/2020/05/27/morte-george-floyd-razzismo