La storia, tratta ancora una volta dai racconti delle Mille e una notte, è quella di Sinbad, marinaio coraggioso, costretto ad affrontare mille avventure per trovare l’Isola Nera e portare al califfo oro e gioielli in cambio dell’amore della figlia.
Alla fine della 536esima notte, Sharāzād narra i racconti di Sinbad: ai tempi di Hārūn al-Rashīd, califfo di Baghdad, un nullatenente facchino si ferma su una panca a riposare fuori del cancello della villa di un ricco mercante e si lamenta con Allah dell’ingiustizia del mondo, dove i ricchi vivono tra gli agi mentre egli deve lavorare duramente e nonostante ciò rimanere povero. Il padrone di casa ode le sue lamentele e lo manda a chiamare. Si scopre che entrambi si chiamano Sinbad. Il ricco Sinbad riferisce al Sinbad povero che egli divenne ricco, grazie al favore del destino, nel corso di cinque meravigliosi viaggi, che inizia così a narrare.

Sinbad il marinaio (scritto anche Sindbad, dal persiano س ندب اد , Sand-baad, e talvolta anche Simbad e Sindibad) è il personaggio protagonista di una leggendaria storia di origine persiana che narra di un marinaio ai tempi del Califfato Abbàsside e delle sue fantastiche avventure durante i viaggi nell’Africa Orientale e nel sud dell’Asia. I racconti sono in parte basati sull’esperienza dei navigatori nell’Oceano Indiano, in parte sulla poesia antica (compresa l’Odissea di Omero), in parte sulle collezioni di mirabilia di origine indiana e persiana. Non c’è ancora un’etimologia del nome Sinbad che sia universalmente accettata.

La storia s’impernia sui racconti che il ricco mercante Sindbàd narra a un povero facchino suo omonimo e a un gruppo di commensali sui suoi sette viaggi per mare e sui relativi naufragi che li concludono, da cui egli si salva per la sua abilità, la sua fortuna e la sua resistenza, dopo aver vissuto numerose avventure straordinarie e meravigliose, ritrovandosi al suo definitivo ritorno più ricco che mai. I momenti principali dei sette viaggi sono: 1. L’arrivo di Sindbàd e compagni su un’isola che risulta essere in realtà un grosso pesce che s’inabissa. Sindbàd si salva fortunosamente e assiste al fenomeno della giumenta fecondata dal magico stallone del mare generando meravigliosi puledri. 2. Sindbàd trova l’uovo dell’uccello gigante Rukh che ciba i suoi piccoli di elefanti. Attaccandosi alla zampa del mostruoso volatile egli è trasportato alla valle di diamante, guardata da enormi serpenti da cui riesce a fuggire, in virtù di uno stratagemma, con le tasche piene di pietre preziose. 3. Perduta la nave a opera di innumerevoli piccole scimmie, Sindbàd vede i suoi compagni arrostiti e divorati da un cannibale gigante di cui si vendica accecandolo e riuscendo a sfuggire all’ira dei compagni del mostro. 4. Una tribù di neri selvaggi ingrassa e arrostisce i compagni di Sindbàd, destino a cui egli scappa per giungere a insegnar l’uso della sella a un re straniero. Per gratitudine questi gli fa sposare sua figlia che ben presto muore e – secondo il costume locale – il marito vien posto a morire nella caverna in cui è inumato il cadavere della moglie. Anche da qui Sindbàd riesce a trarsi d’impaccio seguendo un animale selvatico che lo conduce a un’apertura nei pressi di una spiaggia, dove lo raccoglie una nave di passaggio, non prima d’essersi impossessato delle gioie e degli ori presi ai cadaveri della grotta. 5. Sindbàd si salva a stento dall’affondamento della sua nave, bombardata con rocce dagli uccelli Rukh cui i
suoi compagni avevano distrutto un uovo. Sull’isola a cui giunge naufrago, un vecchio lo costringe a portarlo in giro sulle spalle. Se ne libera uccidendolo dopo averlo ubriacato. In un’altra isola Sindbàd arricchisce con le noci di cocco che delle scimmie gli lanciano per rispondere ai suoi lanci di pietre. 6. Scampato all’ennesimo – ma non ultimo – naufragio giunge al paese di un re che gli affida numerosi regali da offrire al califfo Harùn al-Rashìd. 7. Infine, partito ancora una volta e affondata la nave da grossi pesci, viene salvato da un vecchio ricco che gli fa sposare sua figlia e poi muore. Sindbàd parte con la moglie e i suoi averi tornando definitivamente a Bagdad.
L’analogia con Ulisse e il suo vagare non può sfuggire, al punto da esser stata ipotizzata una sorta di trasposizione in arabo del poema greco, anche se l’accostamento della figura di Sindbàd con la potente personalità dell’eroe omerico appare senz’altro esagerato.
Comunque i tratti comuni dell’ardente sete di toccar nuovi lidi, dell’umana debolezza nei momenti critici e la conseguente forza di reazione che porta alla salvezza e – ancora e soprattutto – le comuni manifestazioni d’astuzia che si esplicano nei fantasiosi stratagemmi dei due, non possono non farceli sentire prossimi e degni della medesima simpatia.
Sindbàd, “Encyclopédie de l’Islam”2, vol. 9, Leiden-Paris, 1998, pp. 663-4.

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