Inventario 9929; Collocazione PACE.LIBRI 08-SOCIETA’/465
Esistono diversi tipi di Democrazia ed ognuna di queste è in continuo movimento. Quella che noi consideriamo come Democrazia “moderna o di massa” in realtà è determinata dalla paura che il popolo non sia in grado di autogovernarsi. Le istituzioni governative che prendono le decisioni politiche sono viste come la normalità, ma sono solo una frazione della democrazia politica. In un contesto di libertà d’espressione basato sulla nostra Costituzione e sui valori che hanno portato alla nascita della Repubblica, il sistema politico spesso crolla sulla sua stessa apertura.
Davide Conti, storico consulente della Procura di Bologna e consulente della Procura di Brescia, oltre che consulente dell’Archivio Storico del Senato della Repubblica, col suo libro “Fascisti contro la democrazia: Almirante e Rauti alle radici della destra italiana 1949-1976” ha contribuito a rendere noti eventi e personaggi, ponendo in primo piano la questione di come “essere fascisti in democrazia” e domandandosi: “Quale percorso aveva seguito la democrazia italiana per giungere al punto, ad appena quindici anni dalla fine della seconda guerra mondiale, di reimmettere uomini politici provenienti dal regime fascista e dall’esperienza collaborazionista della Repubblica sociale al vertice della Repubblica nata dalla Resistenza?”.
L’introduzione del libro ci ricorda come Aldo Moro nel 1962 ebbe cura di soffermarsi sulla natura delle fragilità presenti nella struttura della giovane democrazia italiana all’alba degli anni Sessanta, anticipando la descrizione di un contesto nel quale il nostro paese si ritroverà tra il 1969 e il 1974 i cosiddetti anni della “Strategia della tensione”, durante i quali si verificarono stragi, attentati e depistaggi giudiziari ad opera di nuclei neofascisti. Queste attività sono state coperte successivamente dai servizi segreti e da alcuni settori conservatori dell’apparato statale, decisi a contrastare la spinta a sinistra impressa alla società italiana dall’esperienza del centro-sinistra, dall’autunno caldo e dalla rivolta studentesca. La definizione della “Strategia della tensione” spesso si utilizza anche nel linguaggio quotidiano ma rendendo i suoi contorni meno definiti, quasi un luogo comune tradotto ormai in molte altre lingue ed è applicato alle materie ed ai casi più disparati. Ritrovando però a volte un livello intermedio che descrive come un’azione è stata originata da un determinato gruppo che “ha poi registrato l’inserimento di altri soggetti, con scopi diversi e talvolta opposti, ma con tecniche analoghe, per cui, la risultante finale e quella di una determinata modalità della lotta politica che ha dato il suo nome ad una fase storica” (Disegni di legge e relazioni, Senato della Repubblica). La retorica degli “opposti estremismi” ossia terrorismo “nero” e terrorismo “rosso” viene unificata come unica condanna acritica di qualsiasi forma di conflittualità e violenza, slegandola da ogni rapporto con apparati nazionali e internazionali. Analizzando anche dei manuali scolastici e le scelte grafiche che accompagnano i testi troviamo significativi grassetti per identificare le azioni appartenenti all’estrema sinistra mentre una grande scarsità per quanto riguarda i movimenti di matrice neofascista, creando una copiosa sproporzione.
Questa “dimenticanza” dell’appartenenza di coloro che saranno fondatori del partito della fiamma tricolore, avvenne anche successivamente all’Armistizio dell’8 settembre del 1943, dopo il quale coloro che nel corso del ventennio erano stati “uomini di Mussolini” ricoprirono cariche all’interno delle strutture e dei nuclei fondamentali degli apparati istituzionali della neonata repubblica. Come viene riportato da Conti l’Msi fu composto da soggetti tra cui alti ufficiali del regio esercito, dei servizi segreti e delle forze armate reduci dal ventennio fascista. Si aggiunse per alcuni di loro l’iscrizione alle liste della War Crimes Commission delle Nazioni Unite (Central Register of War Crime Criminals and Security Suspect) come presunti criminali di guerra italiani da processare o da estradare nei paesi dove i crimini contro le popolazioni civili e i partigiani erano stati compiuti (Jugoslavia, Grecia e Albania).
Se queste accuse e questo contesto politico ci appare come particolarmente lontano da noi, l’autore ci riporta all’attualità con il ricordo della manifestazione del 12 Aprile 1973, poco dopo la strage del 7 Aprile sulla tratta ferroviaria Torino-Roma. Giorno in cui Nico Azzi salì sul treno camuffato da militante di sinistra ed iniziò ad armeggiare una bomba con l’intenzione di farla esplodere, volendo far ricadere la responsabilità sui “rossi”. Il piano stabilito non avvenne e l’ordigno gli esplose tra le mani e lo ferì, facendolo successivamente arrestare e identificare come fascista. Cinque giorni dopo l’accaduto, nonostante il divieto della Prefettura il Movimento sociale italiano organizza un corteo per le vie di Milano al quale partecipa il Parlamentare missino Francesco Franco e capo dei “boia chi molla” di Reggio Calabria, l’area neofascista milanese e in testa al gruppo di manifestanti i massimi dirigenti locali del partito: Franco Maria Servello, Franco Petronio e Ignazio la Russa, allora segretario del “Fronte della gioventù” e oggi Presidente del Senato. Lungo le strade percorse dal corteo vennero lasciate delle tessere del Partito comunista italiano, al fine di accreditare a dei comunisti infiltrati gli incidenti che si verificarono durante la manifestazione, dovuti a forti scontri tra la polizia e i neofascisti che culminano con il lancio di bombe a mano. Nella lotta morirà l’agente di Pubblica sicurezza Antonio Marino e successivamente per questo crimine Vittorio Loi e Maurizio Murelli (due giovani neofascisti) vennero condannati a 19 e 18 anni di carcere, essendo stati denunciati dallo stesso Msi, con il tentativo fallito di di separare la propria posizione da quella dei responsabili, “in quanto risulta evidente la comunanza tra estremisti e partito”. Vennero incriminati anche i parlamentari Francesco Severello e Francesco Petronio ma la Camera dei deputati negherà l’autorizzazione a procedere nei loro confronti considerando di fatto l’ Msi responsabile.
“I giorni dell’Aprile del 1973 disegnarono così un parallelo con quelli di Piazza Fontana secondo lo schema che prevedeva la strage di civili (da attribuire all’estrema sinistra) e una successiva manifestazione del Msi con l’obbiettivo della proclamazione di misure emergenziali di ordine pubblico per sospendere la Costituzione” (Davide Conti, p.203, 2024).
All’interno di “Fascisti contro la democrazia” Conti, attraverso le figure di Giorgio Almirante e Giuseppe Rauti e la loro partecipazione al Msi, dimostra come siano loro per primi i sintomi di mancati conti dell’Italia con la storia del fascismo e con l’assunzione di responsabilità rispetto alla pesante eredità di Mussolini. Oggi sono figure celebrate dal nucleo di Fratelli d’Italia: Almirante redattore della “Difesa della razza” durante il regime fascista, fu capo di gabinetto al ministero della Cultura popolare nella Repubblica di Salò, successivamente Deputato nel 1948 e tra i fondatori del Msi come segretario del partito per due volte. Rauti fu volontario nella Repubblica sociale di Salò e nel dopoguerra aderì all’Msi, per poi fondare “Ordine nuovo” e tornare nel 1969 con Amilante nel partito della fiamma tricolore.
L’Autore documentandosi presso numerosi archivi illustra come Almirante e Rauti abbiano coltivato per anni – in modo diverso ma complementare – rapporti ambigui con l’estrema destra radicale, finanche con soggetti coinvolti nella stagione stragista (Benedetta Tobagi, Maremosso). Un libro che apre gli occhi sulla storia della Democrazia Italiana e su come spesso ci sia stato un tentativo di riscrivere i fatti accaduti da parte dei soggetti stessi che hanno vissuto il passato e nel presente da coloro che con nostalgia credono che “il Movimento Sociale Italiano abbia avuto il ruolo molto importante di traghettare verso la democrazia milioni di italiani che erano usciti sconfitti dalla guerra” (Giorgia Meloni).
Recensione di Miriam Bramucci