Educare ai gesti e alle parole

“Quando si avvicina uno straniero e noi lo confondiamo con un nostro fratello, poniamo fine a ogni conflitto. Ecco, questo è il momento in cui finisce la notte e comincia il giorno.” (Paulo Coelho)
Il mondo è sempre più globalizzato e in questo processo di “mondializzazione” aumenta sempre di più la circolazione di merci, di persone, messaggi, immagini e quant’altro; dall’altra parte però aumentano anche i muri e i confini tirati su per emarginare gli stranieri indesiderati. Viviamo ormai nella “società dei media”, in cui discorsi, immagini, video, commenti e materiali
fanno il giro del mondo in pochi secondi e spesso contribuiscono alla costruzione non solo di una realtà falsaria, ma anche di un certo tipo di immaginario collettivo, che provoca spesse volte timore e criminalizzazione dello straniero, invece che stimolare alla vicinanza e all’empatia verso l’altro. A volte le parole feriscono più dei gesti e con l’avvento dei media ormai è facile nascondersi dietro uno schermo ed essere subito pronti a criticare, discriminare e spargere odio. L’effetto è quello di nutrire pregiudizi, rafforzare gli stereotipi e l’ostilità, fino a considerare l’altro come “diverso” e mediante un deprezzamento continuo dei gruppi di appartenenza diversi dal proprio, da un’iniziale esclusione, si può arrivare fino a una vera e propria de-umanizzazione.

Il fenomeno dell’immigrazione nel mondo contemporaneo è in un limbo tra notizie false e discorsi d’odio, componenti alimentate da una percezione del tutto sbagliata del fenomeno migratorio: un’invasione da “criminali” e di “clandestini”. Troppa disinformazione e poca attenzione rispetto a questa delicata tematica. Anche chi è ben intenzionato spesso cade nella compassione e nell’allarmismo quando scrive dei rifugiati o degli stranieri e questo porta molto frequentemente a scaturire un sentimento di pietà negli altri, che fa sembrare gli stranieri delle persone senza nulla e noi “salvatori” l’unica speranza, aumentando ancor di più la distanza tra “noi” e “loro”.
Un altro problema si presenta quando, abituati a questa “commiserazione in lontananza”, allo sbarco sulle “nostre” coste, la distanza tra “noi” e “loro” si accorcia, generando sentimenti di paura, insicurezza, o addirittura indifferenza. Spesso sentiamo parlare del tema della migrazione, degli sbarchi, dei centri di accoglienza, di rifugiati e quant’altro per una questione il più delle volte di indirizzo politico, oppure in un frame di pietà e commiserazione volto alla beneficienza, oppure se qualche notizia fa scalpore per la presenza ad esempio di un nostro connazionale nella vicenda. Non ci rendiamo però conto che sono esseri umani quelli che, come pacchi, vengono presi e portati altrove, vengono lasciati lì in attesa che qualcuno se ne occupi, o circondati di persone che pensano di avere il diritto di decidere dove questo pacco vada messo.
La paura dell’altro legittima la costruzione di muri, giustificati dalla criminalizzazione stessa degli stranieri, in una società che si confonde tra attaccamento alle radici e finto sentimento di uguaglianza basato sull’importanza dei diritti umani. Questo contribuisce alla distanza emotiva che si prova nei confronti di queste persone, che sono lì, lo sappiamo, ne sentiamo sempre parlare, ma non sappiamo veramente niente di loro, se non dalle parole di qualcuno che li racconta come vuole.
Per questo motivo è di essenziale importanza un’etica dell’informazione: è importante non generare disinformazione e interrogarci su ciò che leggiamo, su ciò che gli altri ci suggeriscono di pensare. Abbiamo la grande responsabilità ogni giorno di cercare la verità in un mondo che specula su notizie false e messaggi d’odio, che incitano alla discriminazione. Inevitabilmente le innumerevoli notizie che circolano ogni secondo ledono la nostra capacità critica di guardare la realtà e allora diventa necessario coltivare l’abitudine di fare attenzione a quei discorsi che possono assumere anche forma latente di pregiudizio e stereotipo.
Stereotipi e luoghi comuni contribuiranno sempre di più a dare al fenomeno migratorio una forma e un’essenza che non gli appartiene. L’uomo è sempre stato migrante, in cerca di sopravvivenza o di migliori condizioni di vita ed è assurdo pensare che il diritto alla vita non sia valido per tutti.

FONTI
Immigrazione: storia della migrazione dell’uomo, analisi e frasi (controcampus.it)
Pierluigi Musarò, Paola Parmiggiani, Ospitalità mediatica. Le migrazioni nel discorso pubblico,
Milano: FrancoAngeli, 2022
Online hate speech: responsabilità pedagogico-educative, Karin
https://annali.unife.it/adfd/article/download/2274/2098

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