Christchurch, il simbolo di un odio che cresce

E’ di qualche giorno fa la notizia di due attentati in due moschee nella città di Christchurch, in Nuova Zelanda. I giornali riportano almeno 49 morti, innocenti che altro non facevano che pregare un Dio che non è riuscito a proteggerli. I terroristi, che avevano già postato sui social messaggi anti-islam e razzisti, portavano sui caricatori delle loro armi i nomi di altri assassini di immigrati, fra cui quello dell’italiano Luca Traini. La strage viene addirittura trasmessa in diretta Facebook, non c’è alcuna vergogna, alcun ritegno per questo gesto ignobile da parte di chi lo compie.

Un attacco che dovrebbe causare lo sdegno di tutti gli esseri umani, ma così non è. Su Facebook qualcuno quasi li elogia, sottolinea la differenza fra “noi” e “loro” e l’impossibilità di condividere gli stessi spazi, l’inevitabilità della strage. Il mondo dei social permette a tutti di dire quello che pensano, non si utilizzano più filtri nell’utilizzo delle parole, non si ha paura di dire qualcosa di sbagliato, nemmeno di “offendere”. Si può dire tutto ciò che si vuole e, dalle parole, si passa ai fatti.

Ultimamente nell’aria “occidentale” si respira intolleranza. Dalla nuova Zelanda fino al vecchio continente la volontà che sembra prevalere è quella di costruire barriere, di separarci da coloro che riteniamo diversi. Gli “altri” diventano la causa dei nostri problemi, e sembra che liberandoci di “loro” staremo meglio noi. Una grande illusione quella di poter addossare a chi è diverso la causa del male, lo si è già provato a fare in altre occasioni, non tanti anni fa e alla fine è risultato un grande disastro per tutti. Siamo di fronte ad una scelta, quella fra odio e accettazione. Possiamo decidere di continuare a odiarci, provare ad ucciderci e non risolvere nulla, o collaborare alla costruzione di un presente e un futuro migliore per tutti.

Silvia Cabras

 

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