Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli: tra innovazione e frammentazione

Il Continente africano è dotato di un proprio sistema regionale di protezione dei diritti dell’uomo: la Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli,  la quale venne approvata nel 1981  ed entrò in vigore nel 1986 dopo aver raggiunto il numero di ratifiche necessarie. Attualmente, tutti i Paesi membri dell’Unione africana sono anche parte della Carta. L’unico Stato non aderente alla Carta è il Marocco, che  non è mai entrato a far parte dell’Unione africana in segno di protesta nei confronti dell’apertura di questa organizzazione verso la Repubblica Araba Democratica Sahrawi. Tuttavia,in questi ultimi mesi c’è stata una ripresa dei contatti diplomatici tra l’UA e il Marocco, che presto potrebbe  divenire parte della Carta.

Della Carta africana dei Diritti dell’Uomo e dei Popoli vanno sottolineate alcune caratteristiche.

Per molti versi, la Carta africana costituisce una sintesi apprezzabile tra le tradizioni e i valori culturali africani e la concezione universalistica dei diritti dell’uomo di stampo occidentale. Infatti, se nella sua impostazione originaria il sistema africano trae sicuramente ispirazione dal corrispondente modello europeo fondato sulla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), esso si caratterizza poi per elementi del tutto specifici. Accanto ai tradizionali diritti civili e politici di matrice occidentale, sono enunciati anche alcuni diritti economici, sociali e culturali e certi diritti collettivi, di cui i popoli sono i beneficiari. Inoltre, la Carta Africana è la prima Convenzione internazionale sui diritti umani a riconoscere i diritti dei popoli come il diritto all’ uguaglianza di tutti i popoli, il diritto all’ autodeterminazione, il diritto di proprietà delle proprie risorse naturali, il diritto allo sviluppo, il diritto ad un ambiente sano.

Un’altra innovazione è costituita dalla previsione, accanto ai diritti, anche di “doveri” dell’uomo verso la famiglia, la società, lo Stato, le altre comunità e la comunità internazionale. Tra gli altri, sancisce il dovere di non discriminare, il dovere di mantenere i genitori in caso di bisogno, il dovere di lavorare al meglio delle proprie capacità e competenze, il dovere di preservare e rafforzare i valori positivi della cultura africana. In questo modo il dato socio-antropologico si combina con quello giuridico, nel senso che la vocazione al “comunitarismo” che è alla base delle società tradizionali africane (in cui l’individuo esiste principalmente nel suo rapporto con il gruppo) si riflette sul modo di concepire e realizzare la tutela dei diritti dell’uomo.

L’adattamento alle specificità culturali caratterizzante la Carta africana, da un lato, costituisce un elemento di innovazione e sviluppo rispetto agli altri strumenti di tutela dei diritti dell’uomo ma, dall’ altro, può rischiare di produrre un deleterio effetto boomerang, riducendo il livello di tutela assicurata. Si consideri, infatti, che tutte le categorie di diritti previsti dalla Carta africana sembrano essere garantite nella sola misura in cui i valori della tradizione africana non risultino inficiati o, più esattamente, a patto che tali valori vengano salvaguardati. Ne deriva che alcuni diritti sono enunciati nella Carta in modo da giustificare pratiche degli Stati che, di fatto, sono contrarie alla comune sensibilità internazionale in materia di diritti dell’uomo. Una ulteriore conseguenza consiste, addirittura, nella completa esclusione di alcuni diritti dalla Carta. Infine, in un Continente in cui convivono realtà statali fra loro notevolmente eterogenee sotto i profili economico, socio-antropologico e politico-istituzionale (le cosiddette “Afriche”), il richiamo ai valori della tradizione conduce inevitabilmente alla frammentazione del regime di tutela dei diritti.

All’approccio innovativo sul piano della definizione dei diritti garantiti nella Carta fa da contraltare, sul piano procedurale, il ricorso a forme di controllo più deboli rispetto ai modelli utilizzati nei corrispondenti sistemi europeo e americano.

La Carta africana ha, inoltre,  istituito la Commissione africana dei diritti dell’uomo e dei popoli a salvaguardia sia di Stati che accusano altri Stati di aver commesso violazioni dei diritti dell’uomo, sia di individui che lamentano di avere subito essi stessi delle violazioni dei loro diritti, o che agiscono per conto di altre vittime. In ogni caso, la Commissione può emettere soltanto dei rapporti non vincolanti. Peraltro, soprattutto in passato, in questi rapporti la Commissione si limitava a dare conto dei fatti e ad accertare l’esistenza dell’eventuale violazione, senza altro aggiungere. Oggi, essa produce rapporti più ampi e talvolta indica agli Stati anche come rimediare alle violazioni riscontrate. Tuttavia, i rapporti della Commissione mantengono comunque il valore di raccomandazioni e, quindi, gli Stati molto spesso non vi ottemperano, senza neanche correre il rischio di incorrere in forme di sanzione.

La Carta pur con tutti i suoi limiti, acquista  comunque  la valenza di strumento e sforzo da parte degli Stati africani di riappropriarsi della propria cultura, enfatizzando una storia che non sia il riflesso di quella degli altri o il prodotto di una subalternità all’ Europa coloniale , ma che sia intenta ad allontanare lo stereotipo dell’Africa quale Continente senza storia e irrilevante sul piano globale.

 

Bianca Panichi

 

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